6 Dicembre 2024

di Pasquale Scaldaferri

Si dice che il destino di una persona è inscritto nel suo nome. E anche nel cognome.

Non è necessario scomodare studiosi ed esegeti, cattedratici e intellettuali, modelli di purezza linguistica e interpreti di fisionomia lessicale, procedere attraverso la strada della semantica, oppure intraprendere le anguste vie dell’etimologia.

L’assunto di un ragionamento, pur ascoltandolo e proiettandolo verso molteplici prospettive, resta sempre ancorato a chi ne fa un uso essenziale ed esplicito. E attraverso esso diviene apodittico o suscettibile di innumerevoli interpretazioni.

Da tempo si aggira in politica un signore, Carlo Calenda, stimato e rispettato per il suo curriculum vitae, peccato che quando parla afferma tutto e il suo contrario, in palese antinomìa tra pensiero e azione. 

Talmente credibile nella sua vocazione contraddittoria che ha fondato un partito liberal-repubblicano, battezzandolo con malcelata velleità Azione.

Carletto immaginifico è sempre impettito, mai aduso ai compromessi, eternamente litigioso, per nulla volgare, ingabbiato nel suo aplomb, temerario nelle uscite, pronto a farci omaggio subitaneamente  della sua intemerata, se l’interlocutore di turno osa mettere dei paletti o esprimere dissenso alla sua giaculatoria.

Come un ragazzino impertinente si inalbera se intorno a lui qualcuno ha l’imprudenza di suggerirgli un altro percorso, lontano dai suoi teoremi esistenziali.

“Carletto di qua, Carletto di là, questo non si dice, questo non si fa -cantava nel 1983 Corrado Mantoni.

Il nostro Carletto non “l’ha fatta nel letto per fare un dispetto, che bello scherzetto per mamma e papà”.

Imperterrito ha seguito l’istinto, che va a braccetto con la verità assiomatica. Sua e quindi dell’universo. 

Chi non sta al gioco è punito. E il bimbo discolo che dimora in lui se non riceve il plauso degli astanti porta via il pallone, insieme al suo cipiglio. 

Eppure l’enfant prodige, già a 11 anni, dimostra tutta la sua arte comunicativa.

Nel 1984 recita nello sceneggiato televisivo Cuore, diretto dal nonno Luigi Comencini.

Un’interpretazione impeccabile nel ruolo dello scolaro protagonista, Enrico Bottini. 

Una cosa diversa e lontanissima dal palcoscenico della politica, fulminato originariamente dalle gesta inconcludenti di Luca Cordero di Montezemolo e successivamente dal mellifluo Mario Monti. 

La sua idea liberale sempre disgiunta dal pensiero e dall’azione di Luigi Einaudi e Benedetto Croce, dal tratto identitario dei repubblicani, Ugo La Malfa e Giovanni Spadolini, si perde negli anfratti di un manifesto programmatico tutt’altro che commestibile. E le tesi ispiratrici della sua creatura, da Carlo Rosselli sul socialismo liberale, al liberalismo sociale di Piero Gobetti, passando dal popolarismo di don Luigi Sturzo, restano scritte solo sulla carta, destinate ad ingiallire attraverso processi di ossidazione più devastanti delle reazioni chimiche sui vecchi libri. 

L’ultima pantomima si è consumata in Basilicata, terra gravida di fatica e sudore, i cui elettori si recheranno alle urne domenica 21 e lunedì 22 aprile.

Sentendosi turlupinato da Partito democratico e Movimento 5 Stelle, l’aristocratico dei Prati di Roma si è catapultato a Potenza -lancia in resta- vomitando contumelie contro Conte (il nemico da distruggere) e Schlein, succuba del fanatismo pentastellato.

Non avendo ricevuto consensi alla sua sortita barricadiera, ha minacciato e traslocato con i suoi aficionados sul fronte opposto, appoggiando lo schieramento di centrodestra guidato dal governatore uscente Vito Bardi.

In mezzo al guado, anche stavolta è arrivato secondo, a rimorchio del suo ex sodale giamburrasca Renzi, che nella sceneggiatura scritta alla Leopolda di Firenze aveva già enucleato l’opzione lucana.

Poiché è un leader democratico e anche un po’ cristiano, non ama comandare a casa d’altri e in Basilicata gli è sembrata cosa buona e giusta far esporre l’ex presidente  Marcello Pittella.

Piuttosto che per il lascito della sua travagliata presidenza regionale, Marcellino è passato agli onori delle cronache politiche più per essere fratello di Gianni (già vicepresidente vicario del Parlamento europeo dal 14 luglio 2009 al 1° luglio 2014), nonché secondogenito dell’ex senatore socialista Domenico, detto Mimì, coinvolto nel 1981 in una vicenda giudiziaria per associazione sovversiva e partecipazione a banda armata per aver messo a disposizione delle Brigate Rosse la sua clinica di Lauria in cui curò, senza redigere referto, la terrorista latitante Natalia Ligas.

Non credendo a ciò che gli stava capitando e fedele interprete della visionaria affermazione di Andy Warhol del 1968 (“Nel futuro ognuno sarà famoso al mondo per quindici minuti”), il secondogenito di don Mimì indossa i panni della vittima, adducendo a Pd e M5s di averlo “trattato come ebrei da mandare a morire”, escludendolo dal tavolo delle trattative e dunque esautorandolo da ogni potere decisionale.

Al di là della dichiarazione ignobile che intorbidisce ancora di più le acque, il plenipotenziario di Azione in Basilicata provoca non solo un terremoto politico, ma anche effetti tellurici nella sua famiglia.

Auspice l’irresoluto Carletto, lacera la giovane creatura dalle fondamenta con dimissioni di esponenti locali del partito e la presa di distanze del fratello Gianni, attuale sindaco di Lauria, che rinnega la scelta di Marcello di correre a braccetto con il centrodestra.

Un’operazione utilitaristica che diffonde incertezza e sconcerto anche nel centrodestra, fino all’ultimo non convinto dall’inversione a U degli azionisti.

Una vittoria, però, Carletto immaginifico l’ha ottenuta: battere il giamburrasca toscano sul campo dell’imprevedibilità.

E mentre gli elettori si apprestano a vivere intensamente questa tornata amministrativa, tra i politologi si fa spazio l’idea di un neologismo: la calenda lucana.

Se i Romani per indicare un’impresa a tempo indeterminato affermavano che era rimandata alle calende greche (inesistenti; viceversa, primo giorno del mese in quello romano da cui il nome calenda…rio), dalla spy story di Potenza nasce uno zibaldone con un metronomo della politica indefinita. Prosit!

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