16 Maggio 2024

«Personaggi,avvenimenti e luoghi del nostro Sud» a cura di Vincenzo Ciorciari

State molto attenti a non far piangere una donna:

poi Dio conta le sue lacrime!

La donna è uscita dalla costola dell’uomo,

non dai suoi piedi perché debba essere pestata,

né dalla testa per essere superiore,

ma dal fianco per essere uguale…

un po’ più in basso del braccio per essere protetta

e dal lato del cuore per essere amata.

Talmud ebreo

Ognuno di noi si riferisce alla ricorrenza con pensieri diversi o addirittura opposti mettondo in risalto significati della più varia specie sia per la sensibilità, l’informazione e la formazione proprie sia per i programmi socio-politico-culturali nei quali si trovi impegnato sia per la visione che tenga della società e della maniera di agirvi.

Stampa, televisione e media in generale sono sull’argomento sconfinate praterie da percorrere in questi giorni, ma bisogna stare attenti che dall’abbondanza di informazione, sovente non corrispondente alla realtà storica o non sempre in buona fede, non si sconfini nell’abbuffata irresponsabile di un nozionismo glicemico, male oscuro e subdolo che ci condannerebbe ad invalidanti farneticazioni.

Ci tengo a non essere condotto per questo virus al Pronto Soccorso della Storia, dove vengono estirpati gli scritti infettati da banalità, luoghi comuni e ripetitività e dove l’autore viene isolato in quarantena … per non infettare incauti lettori e spero riuscirci.

Il 3 maggio 1908 al Garrick Theater di Chicago si tiene una conferenza del Partito Socialista presieduta da Corinne Brown ed intitolata Woman’s Day per i problemi sollevati e gli argomenti trattati: dalla penalizzazione cui la donna è sottoposta rispetto agli uomini in quanto a salari, orari e condizioni di lavoro alla discriminazione sessuale nei suoi confronti, dalla concessione del diritto di voto tuttora negato per la netta inferiorità sociale e politica che opprime la donna.

Bisogna, però, arrivare al 23 febbraio 1909 perché venga celebrata la prima ed ufficiale Giornata della donna, anche se non pochi ne retro proiettino l’idea originale a due date molto distanti, ossia al 19.3.1848, quando il re di Prussia deve scendere a patti con i rivoluzionari tedeschi e largheggia in concessioni, fra le quali riconoscere il diritto di voto alle donne ma passano i pericoli della rivoluzione e passano le promesse oppure al 1857, anno che vede la polizia brutalmente reprimere manifestazioni di operaie tessili in varie città degli Stati Uniti e specialmente in New York.

La città torna teatro di conflitto sindacale per uno sciopero di ventimila (dicono) camiciaie che tengono in scacco l’industria tessile e New York dal 22.11.1909 al 15.2.1910 per quindi concludere domenica 27 dello stesso mese al Carnegie Hall dove tremila donne celebrano la loro Giornata.

Il movimento si ingigantisce velocemente e si stabilizza come data di riferimento all’8 marzo per ricordare, secondo alcuni, l’8.3.1911 quando periscono più di cento camiciaie nella fabbrica Cottons di New York o, secondo altri, al 25.3.1911 quando nell’incendio della fabbrica Triangle Waist Company, pure a New York, muoiono 146 operai, 123 donne e 23 uomini emigrati ebrei ed italiani: a terra si contano sfracellate 39 italiane che si lanciano dai piani 8°, 9° e 10° nel disperato tentativo di salvarsi dall’incendio.

La tematica ed una rudimentale “istituzionalizzazione” dell’evento sono stati interessi molto importanti per il mondo socialista, dalla II Internazionale socialista dell’agosto 1907 a Stoccarda alla II conferenza internazionale delle donne socialiste del giugno 1921 a Mosca quando argomento cardine diventa il voto alle donne.

In Italia la data della prima Giornata (Festa) della Donna cade il 12 marzo 1922, prima domenica successiva a quel famoso 8 marzo 1908, ma è solo nel settembre 1944 che l’Unione Donne d’Italia (UDI) programma di rinnovarne la celebrazione l’8 marzo 1945 e si tratta della prima Giornata della donna nelle zone liberate nella definizione originale Giornata Internazionale della donna di lotta e di festa, l’anno seguente estesa a tutta l’Italia e … da allora “mimosata”, per la gioia di donne e fiorai.

Perché la mimosa come fiore-simbolo solamente in Italia? Che presso gli Indiani americani il fiore significasse forza e femminilità non era forse noto alle organizzatrici, così oggi non è forse noto a tutti che si fosse pensato alla violetta già molto usata dalla simbologia di sinistra, ma di solito le donne sono più pratiche degli uomini anche in questi dettagli e si scartò la violetta fiore introvabile e costoso.

In quella Italia del dopoguerra era da stringere su tutto, erano giorni nei quali si professava -si godeva nel professare- democrazia per qualsiasi decisione ed in ogni circostanza, perciò le donne dell’UDI misero ai voti la scelta del fiore e per unanimità scelsero la mimosa mentre anemoni e garofani arrivarono al secondo e terzo posto: Noi, giovani donne (…) abbiamo pensato che le mimose in questo periodo sono abbondanti e disponibili a quasi costo zero.

È d’obbligo evidenziare come la DONNA sappia imporsi ad ammirazione e rispetto negandosi essa stessa orpelli, attenzioni e preferenze pur nei momenti più favorevoli: “Sono momenti duri, adottiamo la mimosa che costa meno di altri fiori” parrebbe che dicessero tra loro e non suona azzardato se tra le decisioniste c’era Teresa Mattei, lottatrice fino all’ultimo giorno della sua vita per i diritti delle donne, della quale piace ricordare un battibecco con un deputato sull’uguaglianza uomo-donna nella magistratura: Signorina, ma lei lo sa che in certi giorni del mese le donne non ragionano? e lei risponde Ci sono uomini che non ragionano tutti i giorni del mese.

“Touché” e ancora oggi potrebbero le donne indirizzarlo a qualsiasi maschiuccio presuntuosuccio, scostumatuccio e prepotentuccio! La rima in “uccio” mi fa pensare di subito a qualche quadrupede collega di costoro e poi a Birtuccio, fraterno amico mio, che non ha rifiutato a nessuno le mimose della sua pianta pur tuttavia gelosamente e simbolicamente riservando l’ultimo rametto per la Teresa che non si decide a farselo ossequiare ma l’innamorato da anni lo lascia sul davanzale della finestra dell’amor suo, non si sa mai.

Notizie scarne e basiche, riportate soltanto per indicare gli avvenimenti dai quali originò l’8 marzo mentre più articolate, diverse ed a volte addirittura contrastanti sono le opinioni e le posizioni attuali su ciò che una volta si “celebrava” soltanto: si è vaporizzato e perduto il richiamo al significato originario di quella data? Si è ridotta la celebrazione ad un effimero “trash” consumistico di donne poco pensanti, per non dire altro, e dedite solo a bagordi? È la festa un mea culpa salvifico e riparatore degli uomini o una loro tattica per ammorbidire le prevaricazioni del passato e smussare i contrasti del presente?

Conseguentemente, si va sempre più sostenendo che in questo giorno le donne non hanno niente da festeggiare, anzi dovrebbero ricordare la data di oggi come fosse un altro 2 novembre, commemorarla come ricorrenza di una interminabile “shoah” socio-politico-culturale consumatasi in tutte le società per colpa e per autoria di una metà delle stesse società, gli uomini.

L’atteggiamento non nasce gratuito né scaturisce da un neo-pauperismo predicato da chissà quale guru del nostro tempo, anzi è fatto proprio e portato avanti da donne che hanno partecipato o assistito dall’esterno alle “feste”, spesso diventate prodotto di mercato avariato e speculativo, molto spesso scadute in spettacolarizzazione di festeggiamenti non contenuti, fragorosi e burini e, peggio, non rarissimamente scadute in spettacoli circensi svolgentisi tra balli e sballi, tra abbuffate gastronomiche ed erotiche, tra sbornie di alcool e quelle di alcaloidi.

Ovvia la critica a siffatta pratica “cafonal-pacchianesca” ma, nel compatire le tragedie che anticiparono e seguirono le conquiste per le quali soffrirono e tuttora soffrono migliaia di donne, non si sconfini nell’eccesso del rifiuto stizzito, risentito e con puzza al naso anche per la più discreta celebrazione. La donna di oggi, quella che vuole e deve valere solo perchè titolare di un bene inalienabile chiamato PERSONA, mi pare che non debba provare sensi di colpa nel partecipare ai festeggiamenti che sono una fissa di ogni 8 di marzo bensì intendere siffatto festeggiare quale sinonimo di riconoscenza, di ringraziamento e di promessa alle sue progenitrici.

Riconoscere loro valore e risoluzione, coraggio e rinuncia, determinazione e sacrificio, cioè quei fondamentali che hanno determinato le condizioni di vita attuali riservate alla donna e dalla stessa guadagnate.

Ringraziarle per avere dato inizio allo splendido e meraviglioso nuovo capitolo della scalata per gradi alla parità dei due sessi.

Promettere loro di spendersi con tutte le sue forze e risorse a scrivere gli ultimi paragrafi dello stesso capitolo.

A chiunque dispensi sostegno e solidarietà alle donne, specialmente alle nostre, non passerà per la testa che esse siano egoiste e masochiste festeggianti di ciò che passarono le loro antenate, quasi provassero piacere per le altrui disgrazie passate, al contrario tali riunioni ricordano le scintille di riscatto che quelle seppero accendere e, così, si festeggia perché quelle disgrazie fortunatamente sono in buona parte scomparse in molti ambienti, in molte nazioni.

Sulle ricorrenze, sulle feste, sulle commemorazioni degli avvenimenti in questione non si dovrebbe solo evidenziare o sempre sospettare l’aspetto negativo, basta considerare che:

la Rivoluzione Francese e la Rivoluzione Americana, per la significanza epocale ed universale delle due, non si festeggiano per gioire sulle migliaia di vite sacrificate alla Dea Ghigliottina o alla Dea Forca;

le nostre Guerre d’Indipendenza e Mondiali non sono piacevoli ed edificanti ragioni di commemorazione per tantissimi lutti e rovine sui due fronti;

gli Olocausti, le Resistenze, i Muri di Berlino, le Giornate della Memoria fra le quali ultime quelle sui genocidi nazisti nei lager e iugoslavi nelle foibe, non sono messaggi inneggianti a deportazioni, a lotte fratricide, a divisioni di popoli e neppure si fanno bicchierate al bar per festeggiare delitti di massa sulle masse sottomesse;

il 2 ottobre, giorno della nascita di Gandhi, è stato dichiarato dall’ONU Giornata internazionale della non violenza e festeggiare o ricordare questa data non significa dimenticare i morti, le oppressioni e ogni altro disastro che la hanno preceduta;

le conquiste dei Martin Luther King, dei Nelson Mandela, degli Aung San Suu Kyi, quelle dell’abolizione della schiavitù, dei diritti dei lavoratori ed innumerevoli altre che pur più effimere e limitate meritano di essere ricordate e festeggiate non certo nacquero da situazioni facili e comode ma si svilupparono attraverso lotte, rinunce, lutti per arrivare al successo delle idee ed alla trasformazione delle idee in progresso e beneficio dei popoli;

i figli di donne che hanno perdono la vita nel parto festeggiano il loro compleanno che coincide con l’anniversario della morte della genitrice ma non questa luttuosa perdita festeggiano;

le date religiose e liturgiche sono state dichiarate “feste” non certo per ridurle esclusivamente a processioni e a godimento profano ma per rendere omaggio e onore a chi per fede ha sofferto tanto, fino a giocarsi la vita.

Pare pertanto ragionevole concludere che non festeggiamo solo in un certo giorno fatti che sono stati straordinari, che non ricordiamo solo in quel giorno i “festeggiati” che sono stati eroi, benefattori e santi, che sarebbe follia e sadismo festeggiare e gioire per avvenimenti negativi, al contrario semplicemente si commemora, si festeggia, si gioisce per quelle negatività che giunsero alla fine proprio in tale data e si brinda non che siano esistite ma che siano finite: nel nostro caso che la condizione femminile sia cambiata.

Innegabile però che con il tempo, con lungo tempo, non di botto è cambiata, nonostante artisti di ogni latitudine e di ogni tempo abbiano scritto rime, composto musiche, dipinto volti e scolpito figure, nonostante la donna sia stata desiderata, vagheggiata, idealizzata, osannata e santificata durante questo lungo tempo. Semplicemente a causa dell’immutata abitudine mentale dell’uomo che permette, concede e regala ma non intende, quasi mai in passato e neppure nei casi più lodevoli e “moderni”, considerare quell’involucro umano quale soggetto con pari titolarità.

Innegabile altrettanto poter sintetizzare, da irrecuperabile ed imperdonabile ottimista, che le donne da sole stiano pervenendo sempre più forti e determinate alla loro realizzazione completa e tanto completa che un giorno non lontano né si discuterà né si festeggerà più sulla loro uguaglianza universalmente accettata, gradita e sfruttata … specialmente dagli uomini e meno credo vi sia donna di opposta opinione, neppure quella meno battagliera e decisa o quella anche essa irrecuperabile ed imperdonabile … pessimista.

Auguri quindi a tutte le donne del mondo, rendendo omaggio ad un miracolo che il Sommo volle chiamare DONNA.Auguri, pur storicamente in ritardo, dovuti per averci coccolato da quando siamo nati, senza preoccuparsi che anche noi avremmo ingrossato l’esercito prepotente e incosciente dei predatori dei loro diritti, eppure non ci hanno mai risparmiato o negato affetto, assistenza e protezione, spesso sostituendoci nei momenti delle peggiori crisi e ritirandosi in quelli di successo, proprio quando c’era da godere, da “festeggiare” appunto ma, affinchè il clima non volga eccessivamente al “sentimentaloide”, ricorrerei ad una considerazione di effervescente leggerezza e dedicherei alle donne quella canzoncina in voga tanti anni fa: Evviva le donne, evviva le belle donne che sono le colonne dell’amor … e di quanto altro ad ognuno venga da pensare.

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