14 Ottobre 2024

1735 – Cattedra di astronomia

Prima in Italia, affidata al matematico Pietro De(i) Martino (Faicchio, Benevento 31.5.1707 – Napoli 28.1.1746), in sostituzione della Cattedra di Etica e Politica e precisamente denominata Cattedra di Astronomia e Nautica, poi Cattedra di Astronomia e Calendari, la cui prima sede fu il convento di San Domenico Maggiore, anche se lezioni di Astronomia si ricordano in precedenza, come quelle tenute, 1653, dal filologo e matematico Tommaso Cornelio titolare della seconda Cattedra di Medicina teorica o come quelle di Agostino Ariani che gli subentrò nel 1695 e fino al 1732, quando a sua volta subentrò Pietro Di(e) Martino.

Il Di Martino aveva la sorte di essersi formato in una famiglia di studiosi e di trarne giovamento per la sua carriera: il fratello Angelo era professore di Fisica, Medicina e Matematica all’Università di Napoli, mentre Nicolò pure professore di Matematica nonchè direttore del Reale Corpo degli Ingegneri e Guardia Marina.

Se la tisi non lo avesse stroncato non ancora a 40 anni, la sua formazione e i suoi studi molto avrebbero offerto alla ricerca e alla cultura e non solo italiane, bastando ricordare, fra opere edite ed inedite, Degli elementi della geometria piana composti da Euclide Megarese e tradotti in italiano, ed illustrati… Napoli 1736, opera che per tutto l’Ottocento fu varie volte ristampata e Philosophiae naturalis institutiones libri tres, Neapoli 1738, opera di chiaro richiamo ai Philosophiae Naturalis Principia Mathematica del Newton e ritenutaindiscutibilmente la principale opera di diffusione in Italia del pensiero di Newton (P. Nastasi – De Martino, Pietro – Dizionario Biografico degli Italiani – Vol. 38, 1990 – Treccani).

L’insegnamento del De Martino proveniente dalla specola di Bologna dove dal 1732 insegnò teorie dell’Astronomia fu però solo teorico in quanto non si poteva disporre di una Specola, per noi Osservatorio.

Mai si completò quella decretata, 1791, da Ferdinando IV e che sarebbe dovuta sorgere in un angolo dell’edificio dei Regi Studi, attualmente Museo Archeologico ma si ebbe miglior fortuna con Ferdinando I allorchè si terminò, 1819, l’Osservatorio Astronomico di Capodimonte, nei pressi della Reggia di Capodimonte, e già l’anno successivo gli astronomi Ernesto Capocci ed Antonio Nobile effettuarono la misurazione per la prima volta delle distanze meridiane del sole e di altre stelle.

Anche esso fu il primo in Italia costruito appositamente per tale funzione ma è d’obbligo precisare che fu istituito, 1807, da Giuseppe Bonaparte a Caponapoli nel monastero di San Gaudioso con Giuseppe Cassella primo direttore, cui si deve, 1791, anche La Linea Meridiana nel salone dell’antica Biblioteca Reale, ora Gran Salone della Meridiana: essa è lunga metri 27,40, il foro gnomonico all’altezza di 14 metri, è formata da 181 listelli di ottone di cm. 15 circa, con 12 formelle dipinte che raffigurano le costellazioni e il centro di ognuna di esse si troverà nel punto in cui in quel giorno verrà proiettata la luce dal sole a mezzogiorno.

In seguito, dopo precedenti tentativi di Ferdinando IV, Gioacchino Murat fece costruire, 1812, una nuova sede sulla collina di Miradois dall’omonima villa detta anche Villa della Riccia del marchese di Miradois e quindi completato, 1819, da Ferdinando I. Da evidenziare che custodisce nella ricca collezione di libri la prima edizione del De Revolutionibus orbium coelestium di Niccolò Copernico.

Come curiosità si ricordi che il De Martino nacque a Faicchio, Bn. paese che diede i natali anche a Luigi Palmieri, inventore del sismografo elettromagnetico, e all’oncologo Giovanni Pascale.

1754 – Cattedra di Economia

Prima nel mondo affidata ad Antonio Genovese, poi cambiato in Genovesi, nato a Castiglione, oggi Castiglione del Genovesi, Salerno il 1°.11.1713 e morto a Napoli il 12.9.1769.

Da Salvatore calzolaio e da Adriana Alfinito di umilissime famiglie, cominciò a bruciare le tappe: nel 1737 fu ordinato sacerdote vivendo per un anno a Buccino, Salerno, e divenne docente di Retorica nel Seminario di Salerno, nel 1738 si trasferì a Napoli lavorando e studiando in quella Università e frequentando le lezioni del Vico specialmente sulla filosofia della storia, nel 1739 aprì la sua scuola per l’insegnamento di filosofia e teologia e non molto dopo conobbe Celestino Galliani, arcivescovo di Taranto e Cappellano Maggiore del Regno di Napoli, al quale si deve, 1745, la sua nomina alla Cattedra di Metafisica ed Etica tenuta da Giambattista Vico.

Lo stesso Galliani fu il suo miglior difensore e protettore allorchè per le posizioni teologiche e la marcata influenza di pensatori quali Cartesio, Locke, Newton, Helvétius che chiare emergevano da Elementa Metaphysicae, 1743, non solo gli fu negato l’imprimatur dall’arcivescovo di Napoli, Giuseppe Spinelli, ma fu accusato di razionalismo e ateismo e rischiò di essere spogliato dell’abito talare, comunque lasciò questo insegnamento e passò alla Cattedra di Astronomia e Nautica che gli fu affidata dal mecenate toscano Bartolomeo Intieri al quale il Genovesi scriveva: M’avete dallo studio delle idee e dalle sterili contemplazioni richiamato a pensieri più vicini alle cose umane, e sì fatto chiaramente vedere il vero fine delle lettere e de’ studi nostri.

Precisamente la prima al mondo Cattedra di Commercio e di Meccanica o Cattedra di Economia Civile come lo stesso Genovesi la definiva, la prima con l’obbligo di impartire le lezioni non in latino ma in italiano divenendo quindi il primo docente a impartire nei suoi corsi lezioni non in latino e ancora più essere tra i primi a usare la lingua italiana anche nello scrivere trattati di metafisica e di logica: già che eravamo a 107 anni prima della proclamazione dell’Unità e quando lassù si continuava ancora a parlare e pensare in francese, domandiamoci se si avvertisse più lassù o più quaggiù il significato pieno di Italia, a cominciare dal linguaggio, o forse quaggiù ci specializzavamo nella nostra “inferiorità” adoperandolo perfino nelle lezioni universitarie.

In un brevissimo saggio non è possibile dilungarsi sulla biografia, sulla citazione e sul contenuto delle opere del Genovesi ma almeno è doveroso ribadire come dagli studiosi si ritenga uno dei fondatori della moderna scienza economica poggiante, però, su principi di ferreo pragmatismo che regge leggi di mercato armoniosamente e continuamente amalgamantisi con dettami di etica pura: Che perciò bisogna essere virtuosi, per essere felici: che siamo di virtù capaci; e che questa virtù non sia una voce vana, e chimerica, ma vera e reale.

Il pensiero andava snodandosi sul percorso virtuoso e lo portava a rivedere quell’ homo hominis lupus hobbesiano e a rinnovare l’etica aristotelica che così gli permetteva condensare la sua visione della società: È legge dell’universo che non si può far la nostra felicità senza far quella degli altri.

Insomma, parlare di figure immense per pensiero ed opere che lo contengono come il Genovesi in poche righe è ripetere la parabola del bimbo che pensa svuotare l’oceano con il secchiello, perciò non resta che continuare a soffermarsi, riflettere, discutere sui suoi scritti che si allontanarono dai fumogeni delle speculazioni metafisiche e dei dotti discorsi che non avrebbero raddrizzato nessun torto nè alleggerito nessun problema di una società oppressa dagli uni e sprofondata negli altri ma soprattutto operare tenendo come Nord della bussola “la cultura delle cose”: vivere il meno infelicemente su questa terra, vivere insieme e non da solitari, costruendo non una società qualunque (anche le bestie vivono in società) ma una società “ragionevole”, cioè fondata sui reciproci diritti, sulla sincerità e reciproca confidenza, sulla sicurezza scambievole della fede e virtù (non simulata) degli altri.

In sostanza il complesso mondo etico-culturale del Genovesi scaturiva dal concetto originario, dalla concezione primigenia della vita donde derivarono le lezioni date dalla cattedra e le opere create anche per una società più vasta alla quale seppe offrire una visione esistenziale imperniata sull’invito a considerare e possibilmente ad accettare, anche per egoistica convenienza personale, un principio nuovo e all’epoca in netta antitesi di quello universalmente accettato di Thomas Hobbes.

Sovvertiva homo homini lupus e proponeva homo homini natura amicus, compendio di neoplatonismo, di visioni etiche e morali, di tomismo ovvero un messaggio che in un certo senso “puliva” l’uomo in quel modo descritto e lo proponeva nella sua indole migliore, meritevole di fiducia e capace di diversamente pensare ed agire se da istituzioni, autorità e società necessariamente assistito.

Noi che non siamo usi a studi astrattamente “alti” e meditativi non dovremmo, però, confonderci e immaginare che in tali studi il Genovesi si sia adagiato o addirittura perduto, tutt’altro, basti solo ricordare che polemizzò anche con Jean-Jacques Rousseau che nei Discorsi, da me detto in povere parole, imputava la degenerazione della natura originaria dell’uomo al progresso nei suoi vari aspetti. Per il nostro nell’evoluzione umana non vi è frattura e meno ancora involuzione o degrado bensì trattasi di inevitabili trasformazioni e conseguenze del progresso altrettanto ineludibile che oggettivamente contribuisce al miglioramento dell’uomo “svezzandolo” ed educandolo nella conoscenza delle scienze e delle arti: quale migliore palestra per lui?

Quale migliore messaggio per noi di un progresso accettato dai singoli e gestito dalla società con l’educazio e il lavoro, con l’etica e la morale?

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