4 Ottobre 2024

Il Rapporto Svimez 2023 evidenzia la drammatica condizione socio-economica e il costante depauperamento del Mezzogiorno. Per puntare allo sviluppo, si dovrebbe valorizzare il settore del turismo culturale, con il supporto delle nuove tecnologie e di servizi sociali e infrastrutturali adeguati

di Pasquale Martucci

Le criticità del Mezzogiorno, con le difficoltà di crescita e sviluppo, sono legate ai mancati investimenti, ai ritardi della politica, alle inefficienze della pubblica amministrazione, all’assenza di infrastrutture e servizi: tutto ciò produce abbandono dei territori, calo demografico, aumento delle povertà.

I dati pubblicati dall’ultimo Rapporto Svimez sono drammatici: l’inflazione ha eroso, più del doppio rispetto alle regioni del centro-nord, il potere d’acquisto delle famiglie, soprattutto quelle a basso reddito. La contrazione dei salari, avendo a riferimento il 2 trimestre 2021 e 2023, è stata di – 10,7 %; l’occupazione a termine raggiunge il 22,9 % nel 2022; la povertà assoluta è di 2,5 milioni di persone. I progetti PNRR messi a bando sono per il 67 % al centro-nord e per il 31 % al sud, denotando i limiti della capacità amministrativa delle regioni del Mezzogiorno. Se poi rileviamo il dato della perdita della popolazione meridionale, si riscontra che in 20 anni (2002-2021), 2,5 milioni di individui hanno lasciato il sud per andare soprattutto al centro-nord (81 %). Il sud ha perso nello stesso periodo 1,1 milioni di residenti: i giovani nella misura di 800 mila (sotto i 35 anni), di cui 363 mila laureati. Lo Svimez stima che nel 2080 il Mezzogiorno perderà 8 milioni di residenti: dall’attuale 33,8 % della popolazione italiana si giungerà al 25,8 %. Nel 2080, il sud perderà il 51 % della popolazione giovanile (0-14 anni); la popolazione in età da lavoro si ridurrà del 50 %; il territorio meridionale sarà l’area più vecchia del Paese, con un’età media di 51,9 anni.

Le analisi del Rapporto rilevano la bassa percentuale di giovani laureati (29 %); al contrario, un livello di istruzione elevato consente di trovare con più facilità un lavoro. È poi da riflettere sulla carenza ormai cronica di infrastrutture (reti ferroviarie e stradali), sui rischi di desertificazione che comportano crisi idriche di grande rilevanza, sul cambiamento climatico: le energie rinnovabili potrebbero essere un polo produttivo strategico, considerando che le regioni del sud hanno una crescita maggiore ben sopra la media nazionale.

Quest’ultimo dato fa riflettere su come ci sia comunque stata una crescita del sud del 10,7 % nel biennio 2021-2022: il calo dell’industria ha fatto emergere dall’altro lato un incremento nei settori dei servizi e delle costruzioni. Ciò induce a pensare che sia ormai una realtà la propensione del territorio ad investire ad esempio nel turismo. Del resto, confrontando anche le forme attuali di investimento e guardando le misure a sostegno dello sviluppo, si nota come questo ambito ha nelle risorse del Patrimonio materiale e immateriale del territorio una grande ricchezza. L’interesse c’è, e ciò lo Svimez lo afferma con certezza.

I rimedi per un’inversione di tendenza sarebbero diversi. Tra essi il potenziamento dei servizi: politiche attive di conciliazione di tempi di vita e di lavoro, per delineare un circolo virtuoso tra natalità, welfare, donne, lavoro e combattere l’invecchiamento della popolazione e l’esodo verso altri territori più attrattivi. La carenza di servizi penalizza le donne e produce un tasso di occupazione femminile che nel Mezzogiorno si attesta intorno al 31/32 %. L’assenza di asili nido, di mense scolastiche e di palestre producono gravi problemi sociali, evidenziati in maniera più marcata con il tasso di abbandoni scolastici che al sud raggiunge il 15 %.

Il Rapporto critica l’autonomia differenziata, che non è la soluzione ai problemi: il rischio è la frammentazione delle politiche pubbliche e la produzione di gravi divari territoriali. Eppure, ci sarebbero occasioni da cogliere, come la valorizzazione degli interventi PNRR rapportati alla programmazione europea, ed in particolare quelli di carattere sociali che oggi sono stati quasi del tutto accantonati.

Scrive Isaia Sales (Il paradosso del sud, La Repubblica, 7 dicembre 2023) che solo rispettando i tempi dell’applicazione del PNRR, che avrebbe destinato il 40 % delle risorse al sud, si potrà evitare la recessione. Ad ogni modo, il problema è legato ad un apparato amministrativo in crisi, che necessiterebbe di un ampio rinnovamento per riuscire a gestire le risorse disponibili. In caso contrario, dovrebbero scattare poteri sostitutivi per realizzare investimenti necessari anche in caso di incapacità degli enti locali interessati.

Una indicazione opportuna è quella del maggior coordinamento attraverso accordi per la coesione tra enti centrali e locali. La ZES (Zona Economica Sud) dovrebbe estendere i benefici fiscali, semplificare la burocrazia, integrare le politiche nazionali e regionali individuando i settori principali di intervento. Tutto ciò serve a valorizzare le specificità produttive, economiche e sociali del territorio.

È vero che il sud è in una situazione drammatica, ma esistono attività di servizio, con imprese appartenenti alla filiera strategica per la transizione verde e digitale, che si occupano di livelli di investimento in innovazione e internazionalizzazione. Tra queste, i settori più importanti sono: ambientale (servizi idrici e economia circolare connessa alla gestione dei rifiuti); agroalimentare; infrastrutture e servizi di trasporto e telecomunicazione; turismo e tempo libero; edilizia; energia. Come si può notare, si tratta di settori su cui si può puntare per invertire la tendenza.

Lo Svimez indica di promuovere i modelli e gli strumenti per cogliere le opportunità di contesto ed individuare le priorità locali. Il Piano Strategico ZES, il Contratti di Sviluppo, il sostegno e la qualificazione dell’offerta produttiva, le politiche integrate di formazione avanzata (formazione continua e politiche educative) sono le indicazioni per un Mezzogiorno attrattivo in termini di investimento, di valorizzazione di talenti, di integrazione con le filiere strategiche internazionali.

In tal modo, si potrebbero finalmente affrontare le inefficienze e i ritardi negli investimenti, che vanno adeguati alle nuove prospettive di sviluppo che, come affermava Pasquale Saraceno nel lontano 1974, vanno ricercate nella riconversione e rinnovamento tecnologico. E direi nella valorizzazione di una grande risorsa che nel Mezzogiorno si chiama turismo culturale, e su cui mi soffermo per compiere alcune osservazioni conclusive.

Il settore turistico è definito dal CST (Conto Satellite del Turismo) come costituito dalle seguenti attività produttive: alloggi, ristorazione, trasporto passeggeri, noleggio trasporti, agenzie di viaggio e tour operator, servizi culturali e ricreativi, commercio al dettaglio. Si tratta di industrie turistiche che, aggregate alle imprese non turistiche (beni e servizi fruiti dai turisti), rappresentano 100 miliardi di valore aggiunto, il 5,6 del PIL nazionale. I soli prodotti turistici risultavano intorno ai 2,1 miliardi nel 2019.

Questi numeri già sono rilevanti, eppure c’è un potenziale turistico inespresso nel Mezzogiorno che potrebbe raddoppiare le presenze rispetto a quelle attuali. Se le regioni meridionali assorbono circa il 20 % del totale delle presenze in Italia, il grado di attrattività è negli ultimi tempi sensibilmente aumentato.

Lo Svimez rileva che tutto il potenziale inespresso potrebbe fornire un rilevante contributo alla crescita delle realtà meridionali a vocazione turistica, anche se c’è molto ancora da fare. La valorizzazione della filiera comporta politiche di accompagnamento con l’infrastrutturazione del territorio meridionale, in termini di servizi e di nuove tecnologie. Mettere a regime il settore turistico produrrebbe una crescita del PIL e dell’occupazione, anche in considerazione dell’indotto (costruzioni e manifatturiero). Questo programma dovrebbe certamente includere una formazione di qualità degli addetti del settore, che riuscirebbero a rendere il turismo attrattivo.

Lo Svimez critica la situazione del Mezzogiorno, ma offre alcune soluzioni che comportano una inversione di tendenza rispetto alle attuali politiche di investimento e di valorizzazione delle risorse esistenti, tra cui quelle culturali, legate al Patrimonio materiale e immateriale del Mezzogiorno. È una delle possibilità di sviluppo, specie se indirizzata alla attrattività di questi beni, che devono essere fruiti dai visitatori attraverso una organizzazione efficiente, il coinvolgimento dei giovani, l’utilizzo di strumenti tecnologici digitali, la pubblicizzazione, la promozione e, non ultimi, servizi infrastrutturali adeguati.

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