14 Ottobre 2024

«Le interviste impossibili» dello scrittore Pasquale Carelli

Le interviste impossibili dello scrittore Pasquale Carelli a personaggi straordinari che hanno lasciato tracce indelebili nell’arte, la storia, la ricerca e la letteratura.

Per questa particolare intervista, Gheddafi mi aveva dato appuntamento telefonico a Roma, precisamente all’altare della Patria. Credevo che mi desse buca, invece è di parola: lo incontro comodamente seduto sul piedistallo del monumento equestre di Vittorio Emanuele Secondo. Aspira grandi boccate dal narghilè senza curarsi che il fumo, salendosene denso incontro alla statua, infastidisca non poco cotanto bronzeo cavaliere e cotanto bronzeo destriero. Dopo avergli rivolto un rispettoso saluto, vengo alla prima domanda: “Rais, ma perché mi avete dato appuntamento proprio qui, sull’altare della Patria?” Lui si toglie flemmatico il bocchino dalle labbra e mi risponde: “Perché da quando mi hanno mandato nell’al di là, nel nostro Paradiso, ogni anno mi danno un mese di vacanza, e io me ne vengo qui a Roma e me la visito tutta quanta…” “Ho capito, fate pure voi il turista: salite su un pullman e vi mettete a girare la città.” “Ma quale pullman?…” esclama Gheddafi, chiaramente offeso dal mezzo di trasporto che gli ho incautamente destinato. “Io, Roma, me la giro a cavallo!” “A cavallo?… e dove lo trovate, un cavallo?” “Mi prendo questo qui,” fa lui, alzando l’indice e indicandomi il monumento sempre più avvolto dal fumo. “Volete dire che vi prendete proprio il cavallo di Vittorio Emanuele Secondo?…” chiedo meravigliato. “Ma è naturale!” risponde lui allargando le braccia. Al che io, adesso addirittura stupefatto, gli domando: “E il primo re d’Italia non vi dice niente se vi venite a prendere il suo cavallo, nella sua capitale?…” “E che mi deve dire?…” risponde Gheddafi con un’alzata di spalle. “Io gli do una bottarella sulla coscia con la mia sciabola e lui subito capisce: scende dal cavallo, mi saluta e mi aiuta pure a salire in sella.” “Cose da pazzi!” esclamo io. “Voi ve ne andate in giro per Roma sul suo cavallo, e lui non reagisce?…” “No, non reagisce per niente; perché oramai Vittorio l’ha capito…” “Che cosa ha capito?…” gli chiedo, un bel poco indispettito dal sentir chiamare il nostro primo re così confidenzialmente, con un solo pezzo del nome. “Ha capito che sta arrivando il momento di sloggiare da Roma per fare posto a noi!” risponde Gheddafi scandendo la frase dalla prima all’ultima sillaba. “E lo dite così, papale papale, che state per prendervi la nostra capitale?…” “E come te lo devo dire, cantando?…” risponde lui con voce di scherno. “E prendersi le terre degli altri vi sembra un gesto democratico?” gli faccio io. A questo punto, lui, dopo una beffarda risatina dedicata verosimilmente all’aggettivo “democratico”, assume un’aria molto seria, quasi da docente universitario di storia antica e contemporanea, e mi risponde: “Ma non ve lo ha detto mai nessuno che le terre sono di chi le conquista e non di chi, momentaneamente, ci si trova dentro?… Soprattutto se, chi ci si trova dentro, è convinto che la terra ereditata dai padri si difenda con la democrazia.” E giù un’altra risatina come prima. Naturalmente si riferisce a noi italiani, e lì per lì sono tentato di assumere un atteggiamento di italico sdegno (alla Mattarella, tanto per intenderci), ma poi desisto e gli chiedo soltanto: “Se ho ben capito, volete dire che fra poco sguainerete le vostre sciabole e…” “Ma quali sciabole?” m’interrompe lui. “Le sciabole sono armi arcaiche; noi vinceremo con armi molto più potenti.” “Ho capito: userete pure voi le bombe atomiche come fa quello della Corea del Nord.” “Ma quali bombe atomiche!” esclama lui. “Vi sconfiggeremo usando due armi, non convenzionali, ancora più potenti dell’atomica: noi vi annienteremo grazie alla vostra suddetta democrazia e al ventre delle nostre donne!… Non per niente ve le stiamo mandando tutte incinte. Non so se mi spiego.” “Vi spiegate benissimo,” gli rispondo e, dopo aver compreso perfettamente il senso delle sue parole, aggiungo: “Complimenti… siete stati molto scaltri ad usare queste due armi segrete, così inconsuete e così subdole che noi occidentali non potevamo mai accorgerci della loro straordinaria efficacia.” “Questo non è affatto vero,” fa lui. “Nessuna furbizia e nessun mistero a riguardo delle nostre armi: se vuoi saperlo, prima che mi mandassero, democraticamente, nel nostro Paradiso, io l’ho pubblicamente annunciato più di una volta che un giorno vi avremmo conquistato con la vostra democrazia e con l’utero delle nostre donne. Purtroppo per voi, quasi nessuno dei vostri politici prese in considerazione le mie parole: erano, appunto, troppo impegnati con la vostra democrazia, e tutte le loro energie intellettuali e politiche venivano assorbite dalla ricerca spasmodica del politicamente corretto. Questo, prima che mi trasferissi in Paradiso; poi, dal 2011 in avanti, altro non stanno facendo, i tuoi politici, che usare la vostra democrazia per agevolare quanto più possibile l’utero delle nostre donne. E’ una cosa che mi fa schiattare dalle risate!” “E perché vi fa schiattare dalle risate, la nostra ospitalità?” “Ma perché, in tutta la mia vita terrena e ultraterrena, non ho mai conosciuto un popolo più fesso del vostro, che si sta impegnando con tutte le sue forze per consegnare la sua terra a chi viene da fuori, gratis et amore dei, come dite voi cristiani.” Dopo una risposta così convincente, sono troppo avvilito per controbattere qualcosa; anzi, pensando che fra non molto sarà lui e saranno quelli come lui a prendersi Roma e tutto il resto, cerco pure di ingraziarmelo, e gli faccio: “Rais, in tutta sincerità, devo dirvi che mi avete convinto: è giusto che a un popolo fesso come il nostro gli fottano la terra, e non solo… e poi, ‘sto primo re d’Italia che si fa fottere addirittura il cavallo…” Non finisco nemmeno di dirlo che Vittorio Emanuele, dopo aver tossito per tutto il fumo passivo e islamico che ha respirato, scende dalla sella, si inchina di fronte a Gheddafi e gli dice (in perfetto dialetto piemontese) che la cavalcatura è a sua disposizione.

“Hai visto?…” mi fa a quel punto il Rais, sorridendo. “Adesso non c’è nemmeno bisogno di cacciare la sciabola e dargli la bottarella sulla coscia: Vittorio lo capisce da solo quando mi viene la voglia di farmi un giretto per… la nostra Roma.” Detto questo, Gheddafi sale sul cavallo e s’invola giù per i gradini dell’altare della Patria, gridando ai pochi italiani che li risalgono: “Levàtev’’a ‘nanze!”

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