8 Ottobre 2024

di Francesco Sampogna – Storie italiane

“C’ERANO ANCHE SEI CITTADINI DI BUONABITACOLO, TRE ERANO BAMBINI, SUL PIROSCAFO UTOPIA AFFONDATO NEL 1891”


“Soltanto la scorsa settimana – scrive il sindaco Giancarlo Guercio – siamo venuti a conoscenza di un fatto drammatico avvenuto nel 1891.
A bordo del piroscafo Utopia che era salpato da Trieste, fece tappa anche nel porto di Napoli e avrebbe dovuto raggiungere New York, erano saliti anche sei cittadini di Buonabitacolo. A causa di una forte mareggiata il piroscafo si inabissò nei pressi del porto di Gibilterra. Era il 17 marzo 1891. Nel naufragio morirono oltre 580 emigranti, tra cui i nostri sei concittadini. In questi giorni abbiamo verificato la notizia nei nostri registri dell’ufficio Anagrafe e nella sezione speciale degli atti di morte del 1892 è effettivamente riportata la cronaca e la certificazione della tragedia. È una storia forte, che rivendica memoria specialmente in questo periodo interessato da numerosi dibattiti sul tema delle migrazioni. È un fatto che ci riporta alle nostre esperienze di migrazione e alle lacerazioni affettive che numerose famiglie subirono vedendo partire i propri figli verso mete lontane. Come gran parte delle grandi storie anche questo caso non è privo di risvolti assurdi e paradossali. Il “sogno” americano si era imbarcato su una nave che si chiamava Utopia! Nelle prossime settimane racconteremo ulteriori dettagli e presenteremo alcune iniziative che stiamo mettendo a punto”.

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LA STORIA : del naufragio del piroscafo “Utopia”

Il piroscafo “Utopia” era una delle navi oceaniche della compagnia di navigazione britannica “Anchor Line“. Insieme alle gemelle “Elysia” e “Alsatia” fu costruita a Glasgow nei cantieri navali della società “Robert Duncan & Co” nel 1874 e varata il 14 febbraio dello stesso anno. Fece il suo viaggio inaugurale sulla rotta tra Glasgow e New York partendo dal porto scozzese il 23 maggio del 1874.
La nave aveva lo scafo in ferro e una stazza lorda di 2371 tonnellate. Era lungo 350,2 piedi (110 m), largo 35,2 piedi (11 m) con un’altezza alla prua di 29,5 piedi (9 metri). Sul ponte di coperta spiccavano le sovrastrutture destinate ad ospitare i passeggeri di cabina, la plancia di comando, i due alberi e un alto fumaiolo. Lo scafo era mosso da un motore a vapore a doppio
compound in grado di erogare fino a 678 cavalli che assicuravano alla nave una velocità massima di 13 nodi. In condizioni normali il piroscafo trasportava 120 passeggeri di prima classe, 60 di seconda classe e ben 600 emigranti (o un volume di merce equivalente). Dopo aver navigato sulla rotta Glasgow-New York per quasi un anno l'”Utopia” venne destinato al collegamento tra la Gran Bretagna e l’India. Dal 1876 fu nuovamente trasferito per servire la tratta Londra-New York ma, all’orizzonte iniziava a profilarsi un nuovo ricco mercato da sfruttare: quello della grande emigrazione europea e italiana in particolare. Per rendere più efficiente e remunerativo il trasporto degli emigranti, il piroscafo venne destinato dalla “Anchor Line” alle rotte mediterranee, dopo essere stato completamente ristrutturato nel 1890, per aumentarne la capienza e la velocità

Nel mar Mediterraneo la nave seguì la rotta che partendo da Trieste conduceva i passeggeri a New York. Gli scali intermedi nei porti di Napoli e di Genova, permettevano di imbarcare altri (numerosi) emigranti italiani mentre quello di Gibilterra serviva ad assicurare al piroscafo un porto “sicuro” dove reperire gli ultimi rifornimenti di viveri e carbone prima della traversata oceanica.
Come innumerevoli altre volte il piroscafo “
Utopia” aveva lasciato il molo del porto di Trieste il 25 febbraio del 1891 alla volta degli Stati Uniti, meta agognata per la maggior parte di quelli che lasciavano il vecchio continente. Terminata la tratta mediterranea, il pomeriggio del 17 marzo la nave fu in vista della baia di Gibilterra. La navigazione procedeva con difficoltà perché era in corso una violenta tempesta che sballottava lo scafo e non prometteva niente di buono. In queste condizioni, John McKeague, comandante della nave, decise dirigersi ugualmente verso il porto per assicurare al vascello un ancoraggio sicuro. Entrando nella baia di Gibilterra McKeague non si accorse che in rada c’erano diverse navi da guerra britanniche. Nel tragitto tra il capo Europa, la punta meridionale del promontorio del possedimento britannico, e il “Nuovo Molo” il comandante fece diminuire la velocità della nave e, mentre questa si stava addentrando nella baia si rese conto con disappunto che l’ormeggio a cui abitualmente attraccava il suo vapore era occupato dalle corazzate Hms “Anson” e Hms “Rodney“. Decise di attraversare il braccio di mare davanti ai due vascelli della Royal Navy ma in quel momento, secondo quanto riferì alla commissione di inchiesta il comandante, fu abbagliato dal faro della corazzata “Anson” che scandagliava il porto di Gibilterra durante la burrasca.

Questo contrattempo non gli permise di calcolare con esattezza la distanza tra l'”Utopia” e la nave da guerra. Ritenendo che fosse maggiore del reale proseguì con la manovra ma, complice il vento di burrasca e la forza della corrente il piroscafo scarrocciò verso la prua della “Anson” finendo con lo scafo contro il rostro sommerso della corazzata britannica. Secondo il terzo ufficiale dell'”Utopia” lo speronamento avvenne alle 6,36 p.m. Immediatamente si aprì una falla larga circa 16 piedi e l’acqua iniziò a penetrare nelle stive. Il comandante McKeague pensò di far arenare il piroscafo ma nel frattempo i fuochisti (o l’ufficiale di macchina) avevano spento le caldaie per evitare che queste esplodessero appena raggiunte dall’acqua di mare. Impossibilitato a manovrare McKeague diede l’ordine di calare le scialuppe di salvataggio ma l’inclinazione dello scafo, sbandato a dritta di circa 70 gradi, non permise neanche questa manovra e ai passeggeri non restò che affidarsi alla sorte e ai propri mezzi. Il piroscafo affondò in meno di venti minuti adagiandosi sul fondale sabbioso della baia di Gibilterra, portando con se centinaia di passeggeri rimasti intrappolati sottocoperta. Nel naufragio persero la vita o risultarono dispersi 562 tra emigranti e membri dell’equipaggio. I pochi che si salvarono vi riuscirono perché rimasero aggrappati agli alberi del vapore, rimasti fuori dall’acqua, o perché soccorsi dal coraggio dei marinai delle navi da guerra presenti nel porto che misero in mare le proprie scialuppe di salvataggio.


La cruda contabilità della tragedia ci dice che 318 persone scamparono al naufragio. Tra di loro c’erano 290 emigranti di terza classe, due passeggeri di prima e ventisei membri dell’equipaggio. Tutti gli altri seguirono la sorte della nave: nei giorni seguenti alcuni palombari della
Royal Navy si calarono sul relitto dell'”Utopia” e riportarono la testimonianza di scene terribili. Le centinaia di corpi dei passeggeri rimasti intrappolati nella stiva “erano così intrecciati l’uno all’altro che formavano un unico ammasso difficile da districare”.

Il giorno seguente il naufragio il comandante dell'”ss Utopia”‘ John McKeague venne imprigionato dalle autorità di Gibilterra ma fu subito rimesso in libertà in seguito al pagamento di una cauzione di 480 sterline. Il 23 marzo si riunì, per la prima volta, la corte del Tribunale marittimo presieduta da Charles Cavendish Boyle, comandante del porto di Gibilterra, supportato dai comandanti delle navi da guerra in rada e da personale civile del governatorato. Dopo aver preso atto delle testimonianze del comandante McKeague e dei suoi ufficiali sopravvissuti al naufragio, furono ascoltati, in qualità di testimoni, anche alcuni ufficiali delle navi da battaglia Hms “Anson“, Hms “Immortalité” e Hms “Camperdown“. Il 24 marzo la corte emise il verdetto: il comandante McKeague fu ritenuto “responsabile di un grave errore di giudizio a causa del quale la sua nave è affondata e c’è stata la perdita di vite umane”. Secondo la corte il comandante dell'”Utopia” non aveva ben valutato la presenza di altre navi all’interno del porto e aveva ordinato una manovra errata facendo disincagliare la sua nave dal rostro di prua della corazzata “Anson“.


Il giorno seguente (era il 25 marzo) la corte del tribunale marittimo di Gibilterra tornò a riunirsi nuovamente per ascoltare altri due testimoni (si trattava di due passeggeri italiani che non aggiunsero nulla di nuovo alla ricostruzione dei fatti) e le osservazioni della difesa. Dopo essersi riuniti in consiglio i membri della corte decisero che rimaneva valida la sentenza emessa il giorno precedente e ritenevano, altresì non necessario, ritirare il brevetto di comandante a John McKeague.


In questo modo piuttosto sbrigativo la vicenda giudiziaria relativa al naufragio dell'”
Utopia” ebbe termine ma lo scontro giudiziario si protrasse in sede civile: si dovevano stabilire i risarcimenti ai familiari delle vittime del naufragio e di chi fossero gli oneri occorrenti per la rimozione del relitto che rappresentava un grave pericolo per la navigazione nella baia di Gibilterra. La vicenda relativa ai risarcimenti si trascinò per mesi anche con scontri giudiziari assai violenti. Le difficoltà si ripercossero anche in sede politica facendo giungere i due paesi (il Regno d’Italia e l’Impero britannico) ad un passo dalla rottura diplomatica.


Dopo alcuni mesi dal naufragio lo scafo del piroscafo affondato fu recuperato dalla società “
Anchor Line” e rimorchiato in Scozia, lungo le rive del fiume Clyde, con l’intenzione di renderlo di nuovo atto alla navigazione. In realtà il relitto dell'”Utopia rimase abbandonato per anni fino a quando, nel 1900, non fu venduto e smantellato per recuperare il metallo dello scafo.

Fonti web: www.terzaclasse.it

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