5 Dicembre 2024

Editoriale di Francesco Sampogna

3 milioni di italiani in mensa delle carità per mangiare: +12%, tanti bambini

La situazione è diventata sempre più drammatica. Cinque milioni e 571mila le persone senza mezzi sufficienti per condurre una vita dignitosa. È il bilancio del 21° Rapporto su povertà ed esclusione sociale realizzato da Caritas Italiana, presentato lo scorso 17 ottobre in occasione della Giornata internazionale di lotta alla povertà.

Si parla di povertà assoluta quando non si hanno le risorse per coprire le spese minime per condurre una vita accettabile. La soglia di spesa sotto la quale si è assolutamente poveri è definita dall’Istat. Parliamo di povertà relativa quando un reddito familiare è composto da circa il 50% in meno rispetto alla media. Secondo il Focus Censis Confcooperative, le famiglie in povertà assoluta sono 1.960.000 cioè 5.571.000 di persone. Mentre sono 2.895.000 le famiglie, 8.775.000 di persone, che vivono in condizioni di povertà relativa. Dieci milioni di persone in Italia vivono in povertà


Rapporto Svimez 2022: prime anticipazioni

(Regioni.it 4385 – 17/10/2022) Sono quasi due milioni le famiglie in Italia che risultano in povertà assoluta. Lo certifica il nuovo Rapporto della Caritas italiana diffuso oggi in occasione della Giornata internazionale di lotta alla povertà. Lo Svimez pubblica alcuni dati e delle anticipazioni del suo Rapporto 2022 e in particolare quelli relativi alla povertà nel nostro Paese, ma non solo. Nel 2021 In Italia il 25,4% (quasi 15 milioni) della popolazione è a rischio povertà ed esclusione (Indagine EU SILC) circa un quarto della popolazione a fronte della media Europea che si colloca intorno ad un quinto. Il dato nazionale è sintesi di una quota molto maggiore nel Mezzogiorno (41,2% pari ad 8,2 milioni di persone) e di una minore nel Centro-Nord (17,4% circa 6,8 milioni). La diffusione territoriale non è omogenea nemmeno all’interno del Mezzogiorno in 5 regioni (Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata e Sardegna) è a rischio povertà ed esclusione circa un terzo della popolazione, in Calabria e Sicilia il dato è poco sopra il 40% in Campania è al 50%. Aumenta la condizione di disagio rappresentata dalle persone in povertà assoluta: le famiglie in povertà assoluta passano da poco meno di 800 mila nel 2006 a circa 2 milioni negli ultimi due anni (da circa 350 mila ad 800 mila nel Mezzogiorno). Le persone da circa 1,7 milioni a 5,6 milioni. Negli ultimi 15 anni il numero delle persone in povertà assoluta nel Mezzogiorno è più che triplicato passando da 780 mila circa del 2006 a 2milioni 455 mila. L’aumento dei costi dell’energia incide maggiormente sui bilanci delle aziende del Mezzogiorno perché qui sono più diffuse le imprese di piccola dimensione, caratterizzate da costi di approvvigionamento energetico strutturalmente più elevati sia nell’industria che nei servizi. Inoltre i costi dei trasporti al Sud sono più alti, oltre il doppio rispetto a quelli delle altre aree del paese. Quindi il sistema produttivo meridionale si dimostra più fragile rispetto all’impatto della guerra. Si stima infatti che uno shock simmetrico sui prezzi dell’energia elettrica che ne aumenti il costo del 10%, a parità di cose, determini al Sud una contrazione dei margini dell’industria di circa 7 volte superiore a quella osservata nel resto d’Italia, rischiando di compromettere la sostenibilità dei processi produttivi con possibili conseguenze sul mantenimento dei livelli occupazionali.
Gli investimenti crescono al Sud più che al Nord nel 2022: +12,2% contro il +10,1%. Al Sud però spingono la crescita soprattutto quelli nel settore delle costruzioni, grazie allo stimolo pubblico (ecobonus 110% e interventi finanziati dal PNNR); la crescita degli investimenti orientati all’ampliamento della capacità produttiva è invece inferiore di tre punti a quella del Centro-Nord (+7% contro +10%).
Nel biennio 2023-2024, in un contesto di drastica riduzione del ritmo di crescita nazionale (+1,5% nel 2023; +1,8% nel 2024), Il Mezzogiorno fa segnare tassi di variazione del Pil inferiori al resto del Paese, nonostante il significativo contributo alla crescita del PNRR.
Nel 2023, il Pil dovrebbe segnare un incremento dell’1,7% nelle regioni centrosettentrionali, e dello 0,9% in quelle del Sud. Nel 2024, si manterrebbe un divario di crescita a sfavore del Sud di circa 6 decimi di punto: +1,9% al nord contro il +1,3% del Sud.


Sono quasi 3 milioni gli italiani che sono costretti a chiedere aiuto per mangiare, rivolgendosi alle mense per i poveri o ai pacchi alimentari. (Dati Coldiretti) Una crescita del 12% rispetto all’anno precedente.

Si tratta una vera e propria emergenza sociale senza precedenti dal dopoguerra, in cui la drammaticità è maggiormente evidenziata dal numero dei bambini sotto i 15 anni bisognosi di assistenza per cibarsi ha superato quota 600mila (fonte web Coldiretti), ai quali vanno aggiunti 337mila anziani sopra i 65 anni, e 687mila migranti stranieri, che va accrescendosi”.

A pesare sono l’emergenza pandemica da Covid e il rialzo dei costi energetici.

Tra i soggetti richiedenti, infatti, figurano persone che hanno perso il lavoro, commercianti e artigiani che sono stati costretti a chiudere le loro attività e lavoratori che non hanno accesso a particolari aiuti economici. La maggior parte di questi soggetti fa ricorso ai pacchi alimentari. Per “vergogna”, infatti, preferiscono questa soluzione anziché usufruire dei pasti gratuiti nelle strutture caritatevoli. Fortunatamente, secondo Coldiretti, la solidarietà in Italia cresce, sia dalle Associazioni che dalle imprese e deii singoli cittadini, con l’esperienza della “Spesa Sospesa” di Campagna Amica, con i mercati contadini sparsi su tutto il territorio nazionale. Con questa soluzione sono stati raccolti oltre 6 milioni di chili di frutta, verdura, formaggi, salumi, pasta, conserve di pomodoro, farina, vino e olio 100% italiani, di alta qualità e a chilometri zero, donati ai più bisognosi. Inoltre, in molti mercati contadini, si lasciano anche i prodotti freschi invenduti a organizzazioni caritatevoli che passano a prenderli per utilizzarli nelle mense. Percepire un reddito da lavoro dipendente, sottolinea il rapporto, non è più sufficiente a mettersi al riparo.

Secondo i dati del Focus Censis Confcooperative “Un paese da ricucire”.

“Almeno 300mila imprese rischiano di crollare sotto il peso di oltre 300 miliardi di debiti, rischiando di far ingrossare le file della povertà con pesanti contraccolpi per l’occupazione di circa 3 milioni di persone. Si preannuncia un autunno caldo a cui dare risposte”, aggiunge Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative.

Sei poveri su dieci in Italia, dice la Caritas, sono poveri per eredità, “poveri intergenerazionali”. Di fatto, nascere in una famiglia povera in Italia è quasi una condanna, non esiste ascensore verso un soffitto altrettanto “appiccicoso”, dove restano ancorate le classi agiate, i loro figli e i figli dei figli. La povertà si cronicizza. Se va bene, ci vogliono cinque generazioni – cinque “anelli deboli” – per arrivare a un livello di reddito medio, contro i 4,5 nella media dei Paesi Ocse. Non meraviglia perché l’Italia è ultima tra i Paesi europei più industriali quanto a mobilità sociale. L’anello debole è il povero che non riesce a spezzare la catena della povertà, ne rimane intrappolato come attaccato a un “pavimento appiccicoso” (sticky floor). La tramanda di generazione in generazione, senza mai uscirne, senza un riscatto, sganciato da meccanismi di solidarietà.

Povertà, in Italia mai così diffusa. “Con le super bollette aumenterà ancora”

C’è il caso segnalato dalla diocesi di Potenza, emblematico. Il 41% dei “nuovi poveri”, persone che non si erano mai rivolte alla Caritas, lo ha fatto nel primo semestre di quest’anno per problemi a saldare le bollette. Se nel 2021 il pagamento delle utenze rappresentava la metà delle domande di aiuto economico, quest’anno siamo al 63%. Non è un caso isolato, spiegano i curatori del Rapporto Caritas. Un monitoraggio appena partito su 218 diocesi in tutta Italia – e non incluso nel Rapporto perché molto recente – confermano il quadro lucano. Rispetto alla prima metà dell’anno, ora nel 78% dei centri di ascolto si riscontra un aumento delle richieste di pagare le bollette (in un terzo dei casi si tratta di un forte aumento). In 23 diocesi su 30 chi chiede un aiuto sulle bollette lo fa perché gli importi sono saliti e quasi sempre di molto. Nell’80% dei casi si tratta di povertà economica, seguono i problemi con il lavoro, la casa, la salute. Metà di chi bussa la porta della Caritas cerca una prima o nuova occupazione. Ma un quarto ha un lavoro povero che non basta a sopravvivere. Preoccupa poi la “fluidità” di quanti oscillano dentro e fuori lo stato di bisogno: famiglie definite “dall’elastico corto” che anche nelle fasi più favorevoli si collocano appena sopra la soglia di povertà e poi ci ricadono. Sette famiglie povere su dieci hanno figli piccoli.

Reddito di cittadinanza: la critica

Non mancano critiche all’unica misura di contrasto alla povertà, introdotta tre anni fa in Italia. “Il Reddito di cittadinanza è stato finora percepito da 4,7 milioni persone, ma raggiunge poco meno della metà dei poveri assoluti (44%) e solamente il 22,3% di quanti si rivolgono alle Caritas“. Sarebbe quindi “opportuno assicurarsi che fossero raggiunti tutti coloro che versano nelle condizioni peggiori, partendo dai poveri assoluti”, da chi cioè non è in grado di assicurarsi beni e servizi essenziali. Ed invece, secondo la Caritas, il Rdc finisce anche ai poveri relativi, a rischio di indigenza ed esclusione sociale, che potrebbero essere supportati da “molte altre politiche di welfare pubblico, più adatte” e che necessitano soprattutto di un’occupazione e un reddito dignitoso. Ma perché il Rdc “esclude una quota consistente di poveri assoluti”? Per i criteri di legge, a partire dalle soglie di reddito e patrimonio, ai 10 anni di residenza in Italia chiesti agli stranieri. Gli importi poi sono “unici in tutto il Paese, mentre le soglie di povertà usate dall’Istat per stimare il numero dei poveri sono maggiori al Nord, riflettendo il maggiore livello medio dei prezzi”. Ecco i poveri più penalizzati, secondo la Caritas: stranieri, famiglie numerose, Nord. E poi c’è il nodo del sostegno sociale che non funziona a sufficienza. Il vulnus del Rdc non è dunque solo rappresentato dalle politiche attive per chi può lavorare. “Troppi vincoli amministrativi e di gestione impediscono alla seconda gamba del reddito, quella dell’assistenza sociale, di compiersi adeguatamente”. Con il risultato di poveri “sballottati” tra un servizio e un altro. Maggior controllo nella fase delle assegnazione e verifica dei criteri di assegnazione.

Torna l’intolleranza verso il povero

All’orizzonte c’è poi un’altra insidia da tenere sott’occhio. “Superata la fase di empatia durante la pandemia, osserviamo il riaffiorare discriminazione e intolleranza verso coloro che stanno peggio, che vivono situazioni di fragilità ed esclusione“, scrive don Marco Pagniello, direttore di Caritas Italiana nell’introduzione del Rapporto. Quando dovremmo contrastare “questa aporafobia: la paura, la ripugnanza, l’ostilità davanti all’indifeso” e “spezzare la catena della povertà”, la sua cronicità e persistenza. E “prenderci cura di questi anelli deboli”.

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