14 Ottobre 2024

la Rubrica “Il Taccuino di Baudelaire” di Giovanni Farzati

La grande stagione della lettura By Jucca, la matita con la parruca
I rumori della notte.
Prestate ascolto ai rumori della notte, certe notti è un concerto. Le pietre, i tubi, i solai, gli armadi, i lavandini parlano come civette, bisbigliano, cantano e solo all’alba trovano pace.
La notte è un continuo: trik, split, zic, triz, crac…, non smettono mai di parlare i mostriciattoli della casa. Se poi c’è una goccia di pioggia, un sibilo di tramontana e un allocco in cerca di compagnia, il concerto è completo, non conviene dormire. Di solito le performance più originali si verificano fra le tre e le quattro, ma si sentono cose straordinarie a qualsiasi ora.
Mia nonna era convinta che erano “spirdi”, per la zia era un brutto segno, guai in vista, mentre la vicina novantenne non aveva alcun dubbio, monacieddi nani, esseri spregevoli che nascondevano perennemente la faccia sotto un cappuccio.
A volte sembra che il soffitto venga letteralmente giù, per i numerosi cric-croc che si susseguono, o che qualcuno bussi alla porta. Una volta ho sentito chiaramente un tic toc.
Stanotte ho sentito un suono provenire dalla cucina molto articolato, diverso dal solito, quasi una voce di donna veniva dalla credenza. Mi sono alzato ed ho ispezionato con cura i bicchieri, le tazzine, le bottigliette di Strega, la caffettiera, persino i Baci Perugina raccolti in un piattino. Mentre ne scartavo uno, non avevo ancora letto il biglietto…mi sono svegliato.
Ma quale credenza, bicchieri e bigliettini, era come al solito Salento, con la sua voce assopita da vecchierella, che stanca di non essere ascoltata e considerata durante il giorno, mette su un monologo certe notti che mette ko tutti i rapaci notturni.   
Conclusioni. Le voci della notte, secondo me, sono le voci della nostra coscienza, le voci di dentro, che ci ammoniscono, ci richiamano, ci ricordano tutti gli errori che stiamo facendo. (fdm)

Indiretto di Fontana
No alla bretella stradale Agropoli – Eboli,  è questo che ha detto il sottosegretario Ministero Trasporti Tullio Ferrante. L’opera, fortemente voluta dal presidente Provincia Salerno Franco Alfieri, ” non è mai stata inserita nei contratti di programma Ministero Trasporti”

Poesia di Abat “Promenade a Silvi”
Pini dal borgo
che guardano il mare,
Dall’alto protesi
Su quell’infinita distesa,
Respirano la brezza
Che sale salmastra
Dal lido e l’arena
Che fronteggian dal basso.
Eppure dai monti
Frescura li tocca
Che da cime boscose
A valle vien giù,
Quei rami nodosi
Lacrimanti l’ incenso,
Ristoran copiosi
Di umido e profumi.
Volteggiano intorno
Uccelli diversi,
Ognuno il suo verso
Regala nell’aria,
Si stagliano con l’ali
Come nere figure
Nell’azzurro mantello
Del cielo e del mare.
Ed io all’ombra,
Sotto questi pini,
Godo il miracolo
Di questa vita terrena.
Autore Vincenzo Abatiello

Cilento, un orologio senza lancette.
L’immagine più evocativa a cui si potesse pensare per rappresentare i nostri borghi, il Sud Italia ma anche il suo Nord, il suo Ovest, il suo Est.
Non l’abusato incipit: “Il tempo si è fermato” o “Si vive ancorati al passato”.
No, siamo luoghi “senza tempo”.
Ambientazione perfetta per un’avventura del personaggio più famoso di Tiziano Sclavi.
Campanili, silenziosi testimoni, del ripetersi inesorabile dell’incapacità degli uomini di imparare dai propri errori.
Non servono le lancette per scandire un tempo sempre uguale a sé stesso.
Una spirale di speranze tradite, di contraddizioni, di meschinità, di grandi slanci d’amore, di grandi delusioni, di nequizie, di rassegnazioni, di gioie, di fiducie mal riposte, di vana gloria, di presunta furbizia, di certa stupidità, di delusioni, di apparente fede, di sincero ottimismo.
Non fermi ma neppure in cammino, non ancorati al passato ma neppure proiettati nel futuro.
Luoghi senza tempo.
Luoghi con orologi senza lancette.
                        (Massimo Sica)

GIUANNI L’AMERICANO
Ai tempi del liceo, un mio compagno di classe, dopo aver sentito per l’ennesima volta gli elogi del mio paese, a quei tempi li facevo spesso, mi chiese un po’ annoiato: “Ma chi è il Salentino perfetto, tu per caso?”. E poi rise, come per dire: “La vuoi smettere?”. Io non risposi, ma ora che ci penso, il Salentino perfetto ce l’ho, è mio cugino.
Giovanni De Marco, noto a Salento come “Giuanni l’Americano” viene ogni anno da Toronto per almeno due mesi. Quando arriva è felice, lo vedono tutti. La sua felicità è pura, genuina, giunge direttamente dal cuore. Non parla mai del Canada, l’argomento non gli interessa, lui è cittadino italiano, s’informa subito dalla viva voce dei Salentini sulle cose accadute durante la sua assenza, ma in realtà sa già tutto, al telefono gli hanno anticipato tutto. Non ci crederete, ma a volte sa più lui di Salento, che sta al di là dell’Oceano,  che mia madre che abita in piazza.
Ha una passione straordinaria per i fichi, parla della loro rotondità come se fossero signorine, fanciulle aggraziate e li raccoglie, nonostante l’età, con l’energia di un ragazzotto, inerpicandosi anche su alberi di un certo fusto. “Giuà, vienite a coglie la fico!”. Voi non immaginate quante volte ho sentito queste parole nell’ultimo mese.
Io credo che al suo arrivo, prima di giungere in piazza, ha già visionato, strada facendo, i suoi alberi prediletti.
Parla dei morti con una vivacità incredibile, li fa rivivere, e ricorda perfettamente tutti i soprannomi dei Salentini. Da Pistuolo a Pesciafuoco è una ghirlanda di nomignoli che s’intrecciano e si separano nelle sue parole piene di vita.
Sa più figli illegittimi lui che il Libro Nero di Don Carmelo negli anni Trenta. Anche quest’anno mi ha rivelato due novità assolute.
Sia chiaro, lui vive la quotidianità con la vivacità di un bambino e la saggezza di un centenario. Se c’è da aiutare aiuta e se c’è da criticare critica, ma la felicità salentina accompagna ogni sua parola e ogni suo movimento.
Ha un difetto. Non rivela il giorno della sua partenza da Salento, ma nella prima decade di settembre improvvisamente scompare. Non saluta nessuno, neanche i più stretti parenti, ma quando parte, giunto al bivio di Salento con la sua macchina, si ferma e guarda l’ultima volta Salento.  Teneramente piange e con gli occhi lucidi se ne va. (fdm)

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