27 Luglio 2024

Cosentini di Montecorice 17 agosto 2023: “CARNELUVARO MIO”

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di Pasquale Martucco

A Cosentini, il 17 agosto 2023, si svolgerà una manifestazione per presentare una antica tradizione locale e proporre un progetto per salvare la memoria dall’oblio: Carneluvaro mio … Cosentini e il Carnevale di una volta”. L’evento è organizzato dall’Associazione Euphòria e vedrà la presenza in qualità di relatori di Osvaldo Marrocco (Museo Eleousa e Nuseo Vivo della Maschkarata di San Mauro Cilento) e Pasquale Martucci (Sociologo e studioso di tradizioni e identità cilentana). I lavori sono moderati da Annunziata Di Rienzo (Università di Roma “La Sapienza” – Associazione Euphòria). Al centro della serata, la rappresentazione carnevalesca: “La Ballata di Zeza”.

Di seguito alcune considerazioni sul Carnevale, nelle componenti simbolico-rituali, e sul lavoro realizzato dall’Associazione Euphòria.

1. Febbraio è il mese del Carnevale: carnem levare, togliere dalla carne, il giorno precedente la Quaresima, in cui si faceva astinenza. Qualcuno sostiene che significa anche carnem più vale, dove valeera il saluto latino con cui ci si congedava; per cui carnem vale significherebbe, appunto, “carne addio, ciao carne”. Si parla poi carrus navalis, una specie di carroccio su ruote portato in occasione delle processioni delle feste.

Si tratta del periodo di festa, diffuso nei paesi di tradizione cristiana, in cui si usa mascherarsi e fare scherzi, che intercorre tra l’Epifania e il mercoledì delle Ceneri, e che precede il periodo di digiuno ed astinenza quaresimale con l’esclusione della carne dai pasti.

I caratteri della celebrazione del Carnevale hanno origini antiche: le dionisiache greche o i saturnali romani. Durante queste feste si realizzava un temporaneo scioglimento dagli obblighi sociali e dalle gerarchie per lasciar posto al rovesciamento dell’ordine, allo scherzo e anche alla dissolutezza. Da un punto di vista storico e religioso il carnevale rappresentò, dunque, un periodo di festa ma soprattutto di rinnovamento simbolico, durante il quale il caos sostituiva l’ordine costituito, che però in seguito riemergeva rinnovato fino al carnevale successivo.

L’elemento più caratteristico è rappresentato dalla maschera, il travestimento, che accoppiato all’elemento trasgressivo e a quello dell’inversione dei ruoli (servo/padrone) doveva fungere da fattore protettivo, quasi ad esorcizzare il male. (A. Rossi, R. De Simone, Carnevale si chiamava Vincenzo, Ed. De Luca, 1977)

2. Nella cultura popolare, riveste un ruolo determinante il fenomeno della rigenerazione. In alcuni rituali, il tempo e l’ordine del cosmo, sconvolti nella tradizione carnevalesca, vengono ricostituiti (nuova Creazione) con un “processo”, una “condanna”, la lettura di un “testamento” e un “funerale” del Carnevale (un fantoccio), che spesso viene bruciato o decapitato. È un felice periodo dell’anno caratterizzato dal travestimento, dal divertimento e da grosse abbuffate che dura fino al primo giorno di Quaresima, il mercoledì detto delle Ceneri (che nel latino ecclesiastico suona come “feria quarta cinerum”), dall’uso di imporre sul capo dei fedeli le ceneri in segno di penitenza. Balli, danze, piatti succulenti, maschere e scherzi contraddistinguono le feste carnevalesche. (P. Martucci, A. Di Rienzo, Il sacro e il profano, Ed. Studi e Ricerche, 1999, pp. 72-76)

Con il fuoco (i fuochi di Sant’Antonio) inizia e con il fuoco (quello per bruciare il fantoccio di paglia) termina il periodo di Carnevale. La funzione purificatrice della cerimonia del fuoco, che può distruggere ogni influenza malefica e rinnovare la forza vitale della natura che si rigenererà, è propria dei rituali del ciclo agrario.

Nel Cilento, si festeggiava il martedì grasso la fine del Carnevale, u Cannuluvàro, un pupazzo di paglia, disteso in una bara e portato in spalla da quattro maschere vestite di nero. Alla fine della sfilata è bruciato. L’atto del bruciare il fantoccio è il modo di esorcizzare con il fuoco ogni influenza malefica e rinnovare la forza vitale della natura che si rigenera. La rinascita del seme, infatti, è il modo di allontanare la precarietà e il passato pieno di stenti e disagi. La sera della vigilia di Carnevale i màschari (maschere), la cui identità doveva essere celata, bussavano alle porte chiedendo vino e salsiccia. Il dovere di ospitalità e la tradizione imponevano che le maschere fossero fatte entrare in casa e che fosse loro offerto da mangiare e bere. (E. La Greca, A. La Greca, A. Di Rienzo, Usi e costumi del Cilento, CI.RI. Cilento Ricerche, 1984, pp. 62-64)

Durante le rappresentazioni del Carnevale, tre sono sempre state le maschere popolari più importanti: la sposa (rigenerazione); il prete (bene); il diavolo (male).

A proposito della rigenerazione, Annabella Rossi e Roberto De Simone hanno introdotto alcuni temi simbolici:

  • In generale, la donna che genera il pupattolo di stoffa simbolizza la rinascita, il trapasso dalla vita alla morte. La donna che è in realtà un uomo travestito rappresenta la divinità ermafrodita, la doppiezza. Si tratta però anche del rapporto nascita/morte, del nuovo che soppianta il vecchio.
  • Una posizione differente è quella di Rossi e De Simone che vedono nel parto e nella nascita di un animale “il tentativo di respingere il rapporto con la donna che è simbolicamente negativo”: il sesso della donna è irritazione del maschio, il parto è anche espulsione del male.
  • La rappresentazione delle maschere racchiude significati rilevanti: “Pulcinella si autogenera per il fenomeno di partogenesi; e l’atto di covare (…) lo pone in connessione con la gallina e i volatili in genere”. La gallina è infatti simbolo della bisessualità in quanto ano e sfera genitale non sono differenziati. (A. Rossi, R. De Simone, Carnevale si chiamava Vincenzo,, pp. 75-76)

La tradizione culturale del Cilento ha valutato il rito carnevalesco, con la sfilata delle maschere e la morte del Carnevale, ed ha condiviso la dissacrazione di valori, quali la morte che “non fa più paura, ma suscita ilarità”: tutti piangono il Carnevale, ma poi finiscono con il fare “una colossale abbuffata fino all’indomani”. Il significato del pranzo a base di dolci serviti di solito nelle grandi occasioni è emblematico circa l’importanza di questa ricorrenza.

3. Passiamo al lavoro realizzato dall’Associazione Euphòria, che contiene una ricerca di un certo rilievo di consultazione di documenti e fonti e di contatto diretto con la popolazione per attingere dalla tradizione orale.

Nell’ambito del recupero delle tradizioni locali, i ricercatori hanno utilizzato la tecnica dell’intervista alle persone anziane. Prima le domande sono state libere, del tipo: “Cosa ricorda del Carnevale?”; in seguito le stesse persone sono state sottoposte a domande specifiche, semi-strutturate, per comprendere la struttura e ricostruire tutta la messa in scena. E così si è potuto realizzare la rappresentazione che viene presentata.

Carneluvaro mio … Cosentini e il Carnevale di una volta”, si articola in tre momenti principali:

  1. la processione per le vie del paese, con visite casa per casa;
  2. la ballata di Zeza e la tarantella;
  3. il falò in cui viene bruciato Carneluvaro.

Processione

Si svolge una processione al suono dei campanacci del Diavolo e sotto la falce della Morte. Cardalana canta strofe ricche di doppi sensi. È la processione di spose che devono assistere al matrimonio di Vicenzella, che però è ostacolato dal padre della sposa: Pulcinella. Ci sono figuranti che danzano con strumenti improvvisati e balli scomposti, tutti con maschere sul viso. Tra i personaggi principali: Zeza e Pulcinella; poi: il Monaco una delle figure del mondo religioso che accompagnano la processione. Accanto a lui il Vescovo, chiamato qui il Confessastelle, in virtù del suo ombrello processionale, parodia di quello che accompagna le processioni sacramentali. Figura a parte è quella dell’Abate, che rievoca una identità territoriale della Socia, al confine tra le terre poste sotto il controllo della Abbazia di Cava. Al mondo della religiosità appartiene anche il Diavolo, vestito di rosso e di nero e coperto dalla pelle o pelliccia di animale: lo caratterizzano i tipici campanacci (quelli che si appendono al collo di animali come mucche e buoi) con i quali si annuncia in ogni suo movimento. Su tutti aleggia la figura della Morte, con la sua immancabile falce, pronta a prendersi le vite di chiunque le capiti a tiro. Il Cardalana rappresenta un’attività ormai non più esistente nella vita del paese, da quando non ci sono allevamenti di pecore. Si tratta dello specialista nella “cardatura”, procedimento usato per sfilare e ripulire la lana, operazione che prepara alla successiva filatura. Ci sono poi il Pescivendolo, il Cacciatore, il Furgiaro, gli Struppiati, il Medico e lo Speziale. Rievoca il passato il Turco. Insomma è rappresentata la vita popolare di un tempo e molti riferimenti storici che definiscono un luogo e la sua identità.

Ballata di Zeza

Fulcro della rappresentazione è la Ballata di Zeza, con protagonisti Pulcinella, sua moglie Zeza, Vicenzella (la Sposa), loro figlia, Zi’ Ron Nicola, giovanotto (in questa versione) spasimante di Vicenzella.

La vicenda è quella di Zeza, che contro il volere di Pulcinella vuole maritare a ogni costo sua figlia. Il nome di Zeza è il diminutivo di Lucrezia, tipico nome nobiliare molto diffuso a Napoli fin dal 1400, ma nella rappresentazione è una contadina che, proprio per il rovesciamento dei ruoli ammesso durante il Carnevale, ha un nome appartenente a una classe sociale diversa dalla sua. È comunque intrigante e ruffiana, che fa in modo che la figlia si incontri e scambi la promessa di nozze con il pretendente. Nella tradizione orale spesso Zeza è la madre ed ha anche l’aspetto della prostituta. Zi’ Ron Nicola in altri rituali si presenta vestito di nero, con un libro in mano, dichiarandosi a volte abate e a volte studente in legge o dottore. Dal punto di vista storico esprime come studente una condizione di emarginazione che durò fino al 1800, ma rappresenta anche colui che sa scrivere e leggere.

In un riscontro a Trentinara, con Antonio Di Rienzo abbiamo rilevato qualche anno fa l’antico Carnevale in uso fino al 1978: una antica rappresentazione trovata in documenti datati intorno al 1400 che mette in scena tutti i vizi delle popolazioni dell’epoca. Don Nicola, a un’ennesima minaccia di Pulcinella, che lo caccia di casa avendolo sorpreso con sua figlia, ritorna armato di fucile e spara tra le gambe del suocero, che alla fine sarà costretto a dare il suo consenso alle nozze (Informazioni e documentazione fornite dalla Pro-loco di Trentinara, in: P. Martucci, A. Di Rienzo A., Il sacro e il profano, cit., 1999).

Il momento culminante è la rappresentazione: “Ballata di Zeza”, che sotto il profilo simbolico indica la figura di un anno, padre ormai morente, che cede al matrimonio di sua figlia e garantisce la continuità di un ciclo naturale e rigenerativo. Pulcinella/padre ha tutte le negatività di un uomo (geloso, vile, repressivo) ed è anche l’immagine del Carnevale stesso, al quale si fa il tradizionale funerale.

Carneluvaro

Carneluvaro è un pupazzo che rappresenta l’essenza stessa del Carnevale: un ubriacone, avvezzo al vino e al mangiare, poco propenso a far alcunché. Questo suo atteggiamento sarà la sua condanna: è destinato a morire a causa del suo ozio e della sua vita da crapulone. Il suo funerale e il falò nel quale viene bruciato sanciscono la fine del Carnevale e l’inizio di una fase nuova nella vita del paese, fatta di costumi anche alimentari morigerati: la Quaresima.

4. Quella di Zeza è una tradizione molto consolidata. La versione ripresa dal gruppo Euphòria è ben attestata anche in altre zone del Cilento, del salernitano e dell’avellinese.

La ricostruzione del testo è stata particolarmente complessa, soprattutto perché le fonti non ricordavano in maniera definita le strofe. Ed allora il lavoro è stato di confronto con il materiale raccolto da studiosi e ricercatori in altri luoghi. La corrispondenza più affidabile, sostengono i ricercatori di Cosentini, è stata con testi tramandati a Lustra (SA) e molte analogie con la tradizione di San Potito (SA). Si è prestata particolare attenzione alle varianti dialettali.

Dunque, se c’è qualche piccola differenza rispetto ad altri riscontri, resta il fatto che l’impianto rituale è uguale e che i significati e i simboli restano quelli già ripresi da Rossi e De Simone a proposito del Carnevale popolare.

Il lavoro dell’Associazione Euphòria è meritorio soprattutto per la proposizione della tradizione, per il recupero delle notizie tramandate dall’oralità delle persone, per voler ripristinare alcune forme e funzioni identitarie specifiche di questo luogo. È interessante la differenza della rappresentazione attuale rispetto al passato, legata al fatto che non sono più solo gli uomini a travestirsi: per rendere ancora quel senso di capovolgimento della società che è insito nella natura del Carnevale, ogni personaggio maschile è interpretato da una donna e ogni personaggio femminile da un uomo.

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