19 Aprile 2024

Rubrica: «Personaggi,avvenimenti e luoghi del nostro Sud» a cura di Vincenzo Ciorciari

Francesco Matarazzo (Castellabate, Sa. 9.3.1854 – San Paolo, Brasile. 10.12.1937), dei nove fratelli primo figlio di Costabile, modesto proprietario terriero ma avvocato di riconosciuto valore, e di Mariangela Jovane di antica e nobile famiglia di Cava de’ Tirreni con origine da una ancora più antica della Perugia del XII secolo attribuendosi la primogenitura della stirpe a un altro Francesco, Maturanzio, nello stile umanistico Maturantius e poi Mataratius quindi Materazzi/Matarazzo. Della famiglia un ramo in seguito si trasferì a Velletri e un altro a Procida donde definitivamente a Castellabate riuscendo nel ‘700 e nell’800 a stabilire una notevole influenza in quella zona cilentana.

Frequentò le elementari a Castellabate, si trasferì a Salerno presso uno zio materno per frequentare ginnasio e liceo, proseguì gli studi all’Accademia militare interrotti però a 19 anni per la morte del padre Costabile e quindi non gli restò che tornarsene a Castellabate per occuparsi quale primogenito della situazione famigliare.

Con la morte del padre l’agiatezza venne rapidamente scomparendo per cui non vedeva alcuna prospettiva di miglioramento o perlomeno di ragionevole sufficienza per mantenere la famiglia originale e quella creatasi, di conseguenza e anche per incoraggiamento dell’amico e conterraneo Francesco Grandino prese in considerazione di unirsi all’ondata migratoria che trasferì tantissimi nostri connazionali verso le Americhe. Partì per il Brasile nell’ottobre del 1881 insieme con la moglie, i due figli Giuseppe di 4 anni e Andrea di circa 1 anno -secondo altre fonti lo avrebbero raggiunto l’anno seguente- e con le consuete scorte alimentari che gli emigranti usavano portarsi dietro, mentre gli altri 11 nacquero dal 1883 al 1902 in terra straniera.

Di famiglia numerosa ma alquanto decaduta economicamente e nell’ambiente della nobiltà che più contava, da un lato continuò con la tradizione di un nutrito stato famigliare tanto che a ventitre anni divenne padre di Giuseppe primo dei tredici figli e dall’altro riportò ai massimi livelli la posizione socio-economico della famiglia.

Creò un impero soprattutto sulla coltivazione di caffè, olio, vino, grano e sulla trasformazione e vendita dei derivati fra cui la pasta, quindi andò ampliandolo nel settore manifatturiero di altri generi nonché meccanico fino a contare 70 aziende dove nel periodo di maggiore espansione trovavano lavoro qualcosa come 20.000 dipendenti in buona parte Italiani e, quando raggiunse il top dell’espansione, riuscì a sedere sulla poltrona di comando di ben 365 fabbriche tanto che -si diceva che dicesse- poteva essere presente per vigilare e consigliare ogni giorno dell’anno in una diversa di esse e riportavano le cronache che praticamente lo facesse fino agli ultimi momenti di vita.

Nel primo ventennio del ‘900 istituì la Federazione delle Industrie dello Stato di San Paolo (Fiesp), non altro che la poi potente Confindustria locale, pervenne a conglomerare le varie attività nelle Indústrias Reunidas Fábricas Matarazzo (Irfm), holding con sede centrale a San Paolo e filiali negli Usa, in Europa e in Argentina mentre in Italia, grazie alla concreta e consistente opera di assistenza nel corso della I Guerra Mondiale con distribuzione di cibo alla popolazione civile e di viveri e altro ausilio alle truppe schierate al fronte, fu insignito, 1917, da Vittorio Emanuele III del titolo di conte del Regno d’Italia, titolo trasformato in ereditario nel 1926 su indicazione di Mussolini.

La qual cosa non originò un’adesione organica al Fascismo e alle politiche del regime o a iniziative di appoggio pubblico e specialmente in Brasile dove avrebbe fatto più presa nell’ambiente degli emigrati non fosse altro per sincere ragioni nostalgiche di Patria lontana anzi non si iscrisse nemmeno al Partito Nazionale Fascista eppure contribuì a finanziarlo senza limiti di generosità, donde un’altra ma unica conseguenza fu la nomina, 1939, del fratello Andrea a senatore del Regno d’Italia.

In terra brasiliana la prima destinazione fu Sorocaba in periferia di San Paolo ritrovandosi con il Grandino che colà recavasi e già nel maggio dell’anno seguente aprì una “venda”, bottega di generi alimentari di prima necessità quali granaglie, legumi, carni, strutto, sale ecc. riuscendo a bruciare le tappe commerciali prima con l’importazione dagli Stati Uniti di strutto, unico o migliore sistema per conservare le carni, e poi con l’apertura a Capão Bonito di una fabbrica che produceva contenitori di latta per confezionare lo strutto in quantità più accessibili alle famiglie e per ciò si attrezzò anche con il commercio di suini.

Dal 1883 cominciarono a raggiungerlo i figli non solo per pratiche ragioni di tranquillità di tenere insieme la famiglia ma anche per poter contare sulla loro collaborazione che avrebbe permesso vigilanza e cura più sicure degli affari che già si trasformavano sempre più in rapidi, ampi e allettanti progressi e così fece in modo che si ricompattasse il nucleo famigliare inclusi i fratelli: si lasciava guidare da concetti di patriarcato meno arcaico e più aderente ai tempi, tenendo ben chiara infatti la visione che sarebbe riuscito a creare una dinastia industriale, un’aristocrazia di capitalismo fondate sulla famiglia e da questa gestite.

Con i fratelli fondò la Matarazzo & Irmãos, partecipandovi egli con le fabbriche di strutto a Sorocaba e a Capão Bonito, Giuseppe con quella di Porto Alegre e Luigi con il deposito che gestiva a San Paolo ma l’attività per la pesante depressione economica che gravava su tutto il Brasile appena durò un anno e con la chiusura, 1891, dell’impresa fu necessario riorganizzare il complesso industriale che in 10 anni portò in società con una quarantina di azionisti alle Industrias Reunidas Fabricas Matarazzo, IRFM.

Angelo Guzzo (La saga del Conte Matarazzo, in Brasile creò il suo impero – la Città del 7.11.2020) a tal proposito scrive: Alla sua morte l’impero delle Irfm era costituito da 365 fabbriche, che si estendevano per un totale di 2 milioni di metri quadri e davano lavoro a 600 tecnici, 2.000 impiegati e 25.000 operai. L’Enciclopedia Britannica, all’inizio degli anni Cinquanta del Novecento, qualificò l’impero Matarazzo come uno dei cinque principali gruppi aziendali del mondo.

Delle realtà commerciali e industriali, oltre a qualcuna già accennata, dare un semplce elenco sarebbe ben lungo ma mi limito a tracciare quelle del settore bancario per il quale l’interesse del Matarazzo nacque indirettamente con la costruzione, 1889-1900, della sua prima grande fabbrica Mulino Matarazzo nel quartiere operaio Bràs di San Paolo finanziata dalla London and Brazilian Bank.

Successivamente con soci italiani fu fondatore, maggio 1900, della Banca commerciale italiana di San Paolo, con la sottoscrizione di 1000 azioni -400 sue e 100 per cadauno di quattro fratelli e due figli. Sei anni dopo la stessa Banca, nell’ambizioso piano di allearsi con altre identità internazionali del ramo per maggiore controllo dei mercati sudamericani, arrivò a possedere il pacchetto azionario di controllo del Banco commerciale di San Paolo, divenuto nello stesso anno Banco commerciale italo-brasiliano ma la vita dell’istituto bancario fibrillava e scuoteva la monotonia del mondo finanziario brasiliano prima con la sua liquidazione e poi, 1910, con la nuova denominazione di Banque française et italienne pour l’Amerique du Sud (Sudameris) dopo lunghe ed elaborate trattative con la Banque de Paris et des Pays-Bas (Paribas).

Nel mezzo del periodo 1900-1905 partecipò alla fondazione della Banca italiana del Brasile, detenendo con la famiglia la quota partecipativa del 73% del capitale, non solo per ampliare con ulteriore presenza la sua importanza nella finanza nazionale ma specialmente con l’obiettivo, prima solo sognato e accarezzato e poi palesato e realizzato, 1911-1913, di ottenere la rappresentanza del Banco di Napoli per le rimesse degli emigranti, quasi fosse il sigillo definitivo, il riconoscimento finale della sua persona come unico o principale riferimento dei connazionali in Brasile. Basti solo annotare che anche di questo progetto seppe curare lo svolgimento e meritarne i relativi successi, tant’è che con la Casa Bancaria Matarazzo in rappresentanza del Banco meridionale veicolava in Italia le rimesse della colonia italiana che raggiunsero il massimo volume, 1921-1925, di 2,6 miliardi di lire.

Come vi era arrivato, quale la costituzione mentale e caratteriale che di un giovane nobile decaduto di Castellabate fecero il punto di riferimento in tanti settori della realtà socio-economica brasiliana? Innanzitutto la sua ferma visione paternalistica che, come visto, lo portò a rendere compartecipi figli e fratelli e poi quel suo senso di appartenenza tutto meridionale che lo portava all’assunzione di dipendenti meridionali, possibilmente campani e ancora più della sua terra perché anche la lingua -in questi giorni si è tanto parlato di dialetto- rende più stretti, sinceri e altruisti i legami tra chi assume e chi lavora anche se la risposta “ufficiale” e in un certo senso didascalica la dava e se la dava lo stesso Matarazzo: Un po’ di intelligenza, una certa capacità di gestione, molto lavoro e fortuna e quest’ultima aiutata e sorretta, ma non lo diceva, da un estenuante e costante ritmo di lavoro che si protraeva dall’alba a ben entrata la notte.

Ed ecco altra domanda. In siffatta gestione del suo tempo trovava spazio la cosiddetta vita di società che siamo abituati a leggere di tante aristocrazie economiche che spesso si concedono episodi di ostentata opulenza, momenti di sfarzosa esposizione e riempiono le cronache galanti di ricevimenti e cerimonie?

Ebbene niente di volgari ostentazioni semplicemente perché, pur nuotando nel cosiddetto “mare di soldi”, usava bagnarsi nel ruscello della modestia e della semplicità, pur abbondanza e sfarzo soltanto si concedesse in relazioni amorose e in battute di caccia galanti perdendo il conto di illegittimi rampolli, veri o atttribuitigli, comunque con quelli legittimi concause scatenanti della frantumazione e del dissolvimento di cotanto impero.

Aggiungasi una strategia imprenditoriale lungimirante che gli consentì rendere sempre più solide le proprie aziende investendo nelle stesse i proventi che ne ricavava, consapevole di contribuire a rendere sempre meno dipendente dall’estero l’apparato produttivo delle indutrie brasiliane e di ritorno procurare maggiori benefici alle sue ramificatesi ormai in ogni settore di quel Paese.

Una sezione meno visitata della sua biografia è l’interesse alla sfera sportiva e precisamente calcistica, specie in quel periodo di intensa attività commerciale, industriale e finanziaria. Partiamo dal Circolo Italiano di San Paolo, epicentro delle manifestazioni galanti, raffinate e spesso pompose della “meglio gente” della comunità italiana nonché cilentana che seppero unire al bel vivere il bello intendere, il bell’apprezzare e il bel praticare dell’assistenza a connazionali poco o niente fortunati e della frequentazione, a volte confidenza, del mondo dell’arte, della cultura e dello sport, caratteristiche che man mano diventarono comuni a tutte le colonie italiane delle Americhe.

In concreto Matarazzo, insieme con altri suoi concittadini dal barone Nicola Pepi al musicista Alferio Mignone a membri di famiglie quali Comenale, De Vivo, Pentone, Perrotti ed altre, fu tra i fondatori, 24.8.1914, della Società Sportiva Palestra Italia: come curiosità si citano la redazione in italiano del verbale di fondazione e la durata di solo 19 giorni di carica del primo presidente Ezequiel Simone. Ribattezzata, 1942, come Sociedade Esportiva Palmeiras è conosciuta oggi come Palmeiras. L’iniziativa scattò in seguito ad una turnée del Torino allora allenato da Vittorio Pozzi e della Pro Vercelli e fu trasformata in realtà da impiegati delle Industrie Riunite Matarazzo, in particolare dal citato presidente del Club Ezequiel Simone, Luigi Cervo, Luigi Marzo e Vincenzo Ragognetti fra gli altri.

Anche su questo tema è possibile trovare notizie a iosa ma non si trascuri di consultare almeno il libro di Vincenzo Fratta (Palestra Italia. Quando gli italiani insegnavano il calcio in Brasile – Roma. Ultra Sport. 2014) non fosse per il titolo. Agli amanti del calcio che ricordano legioni di calciatori brasiliani e sudamericani arrivati in Italia desterà un tantino di calcistica mestizia ma la sorbiranno mescolata con pari dose di orgoglio quando leggeranno che, Svezia 1958, il Brasile vinse il primo campionato del mondo -lo sanno tutti- che era allenato da Vicente Italo Feola -lo sanno quasi tutti- che il Feola era un altro illustre figlio di Castellabate -lo ripeta spesso con vanto e fierezza chi lo sappia.

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