7 Novembre 2024

rubrica a cura di Vincenzo Ciorciari

Franca Viola, diciassettenne eroina del XX secolo

Era il mio primo anno di Università a Napoli. Che Natale, passato a programmare i programmi di una carriera e di relativi successi che … non vennero, nè l’una nè gli altri, ma baldanzosi vennero i miei favolosi vent’anni che si protrassero per tutti i favolosi anni Sessanta e ben oltre.

Erano anni, e come me ne accorsi, nei quali si contestava tutto e si cominciò a dare risposte a tutto, per lo meno le si cercavano, spesso le si ragionavano, comunque le si sostenevano e ci si responsabilizzava. Ognuno di quelli che fummo in prima linea a fare, a essere i “sessantottini” ci stiamo dando da tempo la risposta e la valutazione su quei fatti e, ora, ne ricorderò uno che accadde il 26 dicembre 1965 e involucrò una “sessantottina” che … non la fu.

Non la era, nemmeno immaginava che volesse dire il Sessantotto ma come la fu. Mi piace, perciò, parlare in questi casi di “anonimato storico”, ovvero quel ricorrente fenomeno che involucra nella Storia personaggi che apparentemente non contano niente o neppure si accorgono di essere entrati a far parte di avvenimenti che lasceranno traccia nella società e spesso va a finire che non vengano nemmeno ricordati nelle commemorazioni più immediatamente successive all’accaduto o nell’ambito geografico e sociale più vicino agli stessi: uno di essi è Franca Viola.

In questi giorni di onnipresente campagna mediatica intesa a vincere la violenza contro le donne è quanto mai opportuno ricordare come una donna siciliana negli anni Sessanta riuscisse a sconfiggere un mostro che teneva prigioniera la sua terra, sapendo indossare il coraggio e il valore della ragazza capace di rifiutare, prima in Italia, il matrimonio riparatore, istituto che andava strascicandosi lento e tiranno da secoli.

Sia subito chiaro che non ricorro a sensazionalismi demonizzando tradizioni e mentalità che ritardi e danni hanno causato alla gente sicula e meridionale, tutto al più andrei a evidenziare un tocco di lieve congiunzione tra Franca e le tante protagoniste delle tragedie greche, così intimamente aderenti trattandosi della Sicilia, terra di tante altre Franca ricordate nei teatri della Trinacria ma con una sola, sempliciotta postilla: la statura della donna e la società del XX secolo non portarono all’epilogo tragico proprio di quelle opere.

Brevemente i fatti: Franca nasce, 9.1.1947, ad Alcamo (Trapani) e a 15 anni si fidanza con Filippo Melodia di possidente e potente famiglia con annessi membri mafiosi, cosa che non sopporta la ragazza per cui lascia il fidanzato che, a sua volta, reagisce secondo modalità vendicative apprese in famiglia, dando fuoco alla casa e al vigneto e minacciando il padre di lei con la pistola.

In seguito viene arrestato, ma il carcere esaspera la natura prepotente del rampollo mafioso che, appunto quel ricordato 26 dicembre 1965, si arma di valore, per meglio dire dell’ausilio di ben dodici valorosi amici, arriva a casa della ragazza, spavaldo affronta la ragazza e il fratellino Mariano di otto anni e li rapisce. Il bimbo subito liberato, la sorella viene condotta in un casolare fuori dal paese e, dopo otto giorni, trasferita in casa della sorella del rapitore, teatro di tutta una serie di violenze, da quelle psicologiche verbali per minare la resistenza della ragazza a quelle fisiche e sessuali per distruggerla del tutto.

Eppure il Melodia vuole cominciare bene l’anno nuovo, sicchè il 1° gennaio incontra il padre di lei, Bernardo, e gli propone lapaciata che, senza entrare per ora in particolari, altro non è se non la conclusione voluta dalla tradizione che contempla la riappacificazione di due famiglie, quella di chi violenta e quella di chi è violentata, come se niente fosse accaduto.

Mettere, dunque, una pezza sopra la fuitina, spesso fatta da fidanzati consenzienti, e decidere il cosiddetto matrimonio riparatore, che, aberrazione massima, dovrebbe riparare l’insignificante dettaglio di un “macho” giovanotto che per piegare una testarda giovane donna si vede obbligato a rapirla e violentarla, come dire che la vittima sarebbe il Filippo ferito nell’onore per il rifiuto immeritato e non la Franca che si permette dimenticare il posto che le tocca in quella società dove sempre e solo si deve dire sì.

Quella società, la siciliana verrebbe subito da dire ma non è così, è la società italiana tutta con un consolidato di leggi che, in certi tempi e luoghi, permette a schiere di Filippo “spassarsela” con schiere di Franca e sotto l’iniqua protezione della legge iniqua, nel caso specifico l’articolo 544 (matrimonio riparatore) del Codice Penale recita: Per i delitti preveduti dal capo primo e dall’articolo 530, il matrimonio, che l’autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali.

Ecco la radicata “involuzione copernicana” di una mentalità che vuole e difende quelle leggi e a tutto ciò la nostra ragazza da il primo, devastante e determinante scossone che porta, sia pure con sedici anni di distanza, all’abrogazione dell’articolo (legge 442 del 5.8.1981) e allora cambia significativamente l’orizzonte, si assiste alla nascita del primo giorno della detta “rivoluzione copernicana”, grazie proprio a una donna di una terra dove le stesse leggi sembrano essere state dettate da un dio, tanto sono antiche, anzi esistenti già da prima che fossero scritte.

Con l’art. 544 si salvava e preservava la morale e l’onore, ma di chi? Della famiglia della vittima e, perchè no?, anche di quella del carnefice.

E alla donna violentata non vengono riconosciuti onore e morale? Senza’altro, ma le vengono garantiti e omaggiati con il matrimonio riparatore e con la fortuna sia di avere a fianco chi le combinò quel sinistro pateracchio, sia di avere da lui prole che potrà emulare le gesta del genitore. 

E la vittima non è da rispettare e da tutelare in quanto donna, persona, essere umano? Sono bazzeccole che una società -quella dell’art. 544- non reputa prendere in considerazione, sono categorie tuttavia astruse e tutto al più da discutere in seminari esclusivi di antropologia che si svolgano in ovattati saloni di accademie … lontano dalle donne … alle quali non si addicono siffatti discorsi, sentenziano i “dotti”!

E prima che quegli stessi “dotti” decidano se e quando debbano collocare l’uomo e la donna sullo stesso livello esistenziale, giuridico, sociale, quante “vicende Franca Viola” dovranno scuotere la coscienza e il raccapriccio di un popolo che sta sempre più avanti dei propri legislatori?

Già, il popolo sta più avanti, come Franca che sopporta e resiste a ogni pressione, dalla più sottile alla più grossolana, della gente che non le crede o finge per piegarla, che l’apostrofa con i più miserabili epiteti, che la evita nel paese, che ripete e amplifica le minacce dello stesso Melodia, che le premonisce e le augura un futuro di zitella pieno di solitudine, di povertà, di disperazione.

In una realtà, che la vede persino sotto continua scorta dei carabinieri per le minacce ricevute, Franca non cede e la valentia bruta di Filippo si sgonfia nel processo che lo vede condannato ad 11 anni, poi a 10, infine a 2 con soggiorno obbligato a Modena, donde, 13.4.1978, in perfetto stile mafioso, con un colpo di lupara viene spedito al “redde rationem definitivo”. Da chi e perchè lo ignoro.

“Par condicio” impone informare che la vicenda vede anche un degno copratogonista maschile, Giuseppe Ruisi, l’amico d’infanzia che la sposa nel 1968. Non gli importa muoversi nel groviglio di pregiudizi e di falsi valori che originarono i fatti e che lo spingono nel vortice delle maldicenze, delle minacce e delle ritorsioni indirizzate anche a lui.

La sua colpa? Innamorarsi e sposare la giovane che un paese intero emargina e ripudia perchè ha osato opporsi alla mostruosità di beceri arcaismi di quello stesso paese. 

Comunque tutto è finito e di Franca, per il ruolo straordinario che si è saputo ritagliare come simbolo dell’emancipazione femminile e della modernizzazione di una società che la voleva vittima ma non ci riuscì, quasi verrebbe da dire che non interessa nemmeno come siano andate avanti la sua vita e la sua famiglia dopo il “lieto fine”.

Eppure il copione dei finali che si usa in queste occasioni non si può stravolgere, bisogna evidenziare i riconoscimenti ufficiali tributati alla Viola, anche se il suo tempo passerà nella piena normalità di paese dalla quale timidamente uscirà in occasioni di ricorrenti risvegli di memorie e di celebrazioni che la riporteranno agli onori delle cronache.

Il presidente Giuseppe Saragat nel giorno delle sue nozze le invia un dono-pensiero a nome suo e degli Italiani ossequienti, nello stesso anno la coppia viene ricevuta dal papa Paolo VI, in occasione della festa della donna del 2014 viene insignita dal presidente Giorgio Napoletano dell’onorificenza di Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, infine con la regia di Damiano Damiani una splendida Ornella Muti farà rivivere la vicenda sugli schermi in La moglie più bella.

La vera moglie più bella ha voluto essere anche la donna più libera, più padrona di sè e meritatamente si vede assegnare uno dei primi posti in quel valoroso esercito femminile che, proprio quando lotta con le proprie forze, si guadagna le conquiste più significative, quelle fondamentali, e lascia per ogni via del suo paese le simboliche scarpe rosse della non violenza che diventano monumenti del riscatto femminile eretti in tutte le altre strade del mondo.

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