26 Aprile 2024

Pani & pesci del Maestro Antonio Balbi da Roccagloriosa in mostra nella s. Markus kirche di Francoforte

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Redazione – Ricevuto da Annamaria Michele

Un uomo a braccia aperte e piedi giunti lievita immobile al centro della tela. Ha la barba lunga e una corona di spine intorno alla fronte. Uno straccio di lenzuolo svolazza sul suo bacino e ne copre la nudità. Dietro di lui solo colore. Colore e basta. Non c’è quello che lo spettatore si aspetterebbe di scorgere, dopo aver visto i fori dei chiodi nel palmo delle mani e sul collo dei piedi. C’è qualcosa che manca, un dettaglio che avrebbe dovuto esserci, ma che non c’è. Manca quella croce sulla quale Gesù è stato inchiodato. E’ questo il Cristo senza Croce del Maestro Antonio Balbi da Roccagloriosa.
L’assenza del legno nell’immagine non è dovuta a dimenticanza o casualità. E’ invece la chiave di lettura di una tra le creazioni che meglio raccontano l’arte del Balbi. La figura solitaria del Cristo sembra dirigere il suo sguardo oltre quell’apparente deserto emozionale fatto di colore che si espande alle sue spalle, invitando l’osservatore ad addentrarsi tra le pieghe dei colori e accompagnandolo a scivolare in profondità per scoprire come le idee si trasformino in immagini. Ognuno porta la sua croce, sia essa la famiglia, il lavoro, la cura della casa o semplicemente la vita.

Ma cosa succede, quando al tremare della terra, gli oggetti si trasformano in cumuli di detriti? Cosa accade quando anche le nostre croci si sgretolano nel frastuono di un terremoto e finiscono sbriciolate insieme alle cose di cui riempivamo le nostre giornate? Succede che nel groviglio pungente di una catastrofe, assieme alla disperazione e al dolore, s’intravede anche la possibilità di ricominciare, una nuova occasione per ripartire. Tutto è crollato e con esso se ne sono andate le nostre croci, sostituite sì da un profondo cordoglio, ma trasformate nella loro epifania nell’occasione rara di ricominciare da capo.


L’arte del Maestro Balbi si nutre di questo: nemesi impastata a sogno. E la dimensione onirica non è mancata nella recente sua mostra, dove trentatré tele, tante quanti gli anni del Cristo, sono state allestite dal 20 Aprile fino al 7 Maggio nella S. Markus Kirche, nella Mainzer Landstrasse di Francoforte. La mostra Brot & Fisch è stata un viaggio, una deambulazione in uno spazio consacrato alla venerazione di un culto antico che ha avuto in quelle due settimane e mezzo l’opportunità di incontrare il moderno.
I pesci del Maestro Balbi sono scrigni che galleggiano nel colore. Sono figure dove significato e significante si fondono insieme, per restituirci una nuova lettura e interpretazione di quel simbolo, che nella tradizione cristiana dei primi giorni indicava l’appartenenza a una nuova fede. I correligionari delle catacombe stilizzavano la figura di un pesce per indicare che Gesù Cristo era il Figlio di Dio, il Redentore, ma nell’opera di Balbi quei pesci si sono evoluti e ora nuotano senza coda in una mare dorato, o con vistosi occhiali, a significare i veleni della ricchezza e del nozionismo che sovente si impadroniscono dei nuovi fedeli, facendo loro dimenticare la profonda semplicità del messaggio originario. Sembra che l’accettazione del Cristo come il redentore sia stata sostituita dalle mutazioni sociali e genetiche, che si incarnano nel nozionismo, che non riesce mai a essere conoscenza profonda, e nella mancanza della coda, come retaggio da cancellare per mostrarci più evoluti di ciò che siamo, fino ad arrivare all’iperconsumismo di quel mare dorato, che baratta l’acqua con l’oro e poi soffre la sete e affoga nel superfluo.


Nello scenario contemporaneo, l’elemento digitale ha alterato la percezione dello spazio e del tempo e con esso il senso delle cose, consegnandoci un presente schizofrenico. In questa cornice, spesso l’arte rinuncia all’elemento progettuale e proiettivo per affidare il proprio fare unicamente alla continua citazione e ricreazione di sé; un disco rotto che s’inceppa sempre nello stesso punto e ripete all’infinito la pretesa grandezza dei tempi moderni.
Ma le creazioni di Antonio Balbi seguono un altro percorso e come un fiume in piena percorrono la lunga strada verso il mare in un flusso creativo che sorprende per originalità e capacità di veicolare concetti. Questo non vuol dire andare fuori tempo o rifiutare i benefici che la nostra era tecnologica ci offre. Anzi. Profondamente legato al concetto di arte come narrazione del presente, il Maestro Balbi ha ideato una nuova tecnica pittorica di cui ad oggi egli è l’unico artefice. Tutte le sue tele, infatti, sono create in 3D. Con l’ausilio di speciali occhialini, l’osservatore può assistere alla trasformazione delle immagini, che rivelano profondità, giochi di luce e un mondo capace di animarsi dentro alla tela. Ecco l’aspetto onirico, già riconosciuto e celebrato dalla critica tedesca nelle opere del Balbi. Una sospensione, visiva e fenomenologica, capace di rievocare il sogno, ma al contempo rivelatrice di nuovi significati del mondo che viviamo ad occhi aperti. Il nostro tempo riportato su tela, con le sue contraddizioni e la sua virtualità.
Tra le altre opere esposte, la mostra ha proposto alcuni lavori ispirati al mondo classico come Il cavallo di Troia, Achille ed Ettore, Teseo e Arianna (con il Minotauro alle spalle dei due amanti), e infine alcuni esemplari della serie Polifemo. Questo legame e reinterpretazione del classico si rinviene anche nelle tele dedicate ai segni zodiacali. Fra i segni esposti in questa rassegna, quello del Toro rappresenta efficacemente l’onda artistica che ricollega antico e moderno tra le opere del Balbi. Basti pensare che la rappresentazione dell’antichissimo segno del Toro è chiaramente ispirata al simbolo della Lamborghini. Il Maestro Antonio Balbi da Roccagloriosa è tutto questo. Un pittore capace di creare tele dove il concetto si trasforma in immagine, l’immagine assume una dimensione onirica attraverso la profondità del 3D e il legame, non solo concettuale, con l’arte classica lo innalza ad artista. Non ce ne sono tanti così! Merita maggiore attenzione, tanto tra i collezionisti quanto tra coloro che hanno a cuore l’arte e le cose belle.
Annamaria Michele

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