18 Aprile 2024

Sulle brigantesse, a differenza dei colleghi maschili, si trovano in molto minore quantità notizie certe, quando non scarsissime o addirittura contraddittorie e autoescludenti, per la semplice ragione che esse salivano alla ribalta dal nulla, spesso se ne ignoravano addirittura i genitori o i coniugi quando li avessero, e per l’ancora più semplice motivo che una donna difficilmente veniva presa in considerazione in quella società, a meno che non fosse protagonista di qualcosa di veramente eccezionale.

Al raccontare di tali personaggi che invasero il sentimento prima che la ragione, si corre il grosso rischio di magnificare i pochi episodi conosciuti, di infiorarli e tesserne una trama teatrale, perchè anche i minimi indizi portano a immaginare tante diverse passioni che scuotono le persone e tanti loro atteggiamenti che altrimenti non avrebbero senso.

Scrivono di “Brigantesse” dilettanti che vengono da letture diverse degli storici e storici da studi diversi dei dilettanti quindi ci troviamo di fronte a posizioni diverse o addirittura opposte a seconda della sensibilità, dell’informazione e della formazione proprie della loro personalità e dei programmi socio-politico-culturali nei quali si trovano impegnati, della visione che tengono della società e della maniera di agirvi. Tematica abilmente insabbiata da buona parte della cultura ufficiale ma, se attualmente nell’affrontarla si presentano strade più ampie e comode da percorrere, si faccia dovuta attenzione all’abbondante informazione, sovente non tutta corrispondente alla realtà storica o non sempre in buona fede.

Non si sconfini nell’abbuffata irresponsabile di un nozionismo glicemico, male oscuro e subdolo che condannerebbe ad invalidanti farneticazioni, perciò prudenza massima a non essere condotti per questo virus al Pronto Soccorso della Storia, dove vengono estirpati gli scritti infettati da banalità, da luoghi comuni, da ripetitività e dove l’autore viene isolato in quarantena … dello oblio per non infettare incauti lettori. Non cerchiamo solo nelle opere accademiche, la cosiddetta cultura “alta”, ma prestiamo attenzione anche alle pubblicazioni della cultura “bassa”, popolare etichettata a volte impropriamente come pubblicazioni da edicola ferroviaria che, pur se meno attrezzata, in definitiva risulta la adatta a trasmetterci le non molte notizie che abbiamo delle brigantesse.

Da tali pubblicazioni, più che modelli di donna da seguire chè improponibili ai nostri tempi, apprezzeremo i ritratti nitidi di alcune generazioni femminili caratterizzate dalla silenziosa modestia del loro protagonismo e ad esse renderemmo giustizia almeno collocandole nelle dimensioni che non furono loro riconosciute o che furono loro tolte in quanto donne, già prima che si dessero alla macchia, e anche dagli uomini che in un certo modo le protessero: generazioni di donne vittime di tutte le prepotenze espresse dagli occupanti, dalle classi superiori, dal maschilismo, dai carcerieri in vita, dagli aguzzini in morte … e dopo la morte.

Si stia, però, attenti a non far passare la tesi che dalle loro condizioni nacquero l’impulso alla conquista della libertà, il sacro fuoco della liberazione dalle prepotenze e dallo sfruttamento degli oppressori, la chiamata alla missione di lottare l’invasore, perchè se, come spesso ripetuto, si sbaglia nel riconoscere ai briganti spasmodiche abnegazioni, filosofiche macerazioni, spontanei idealismi, non è superfluo avvertire che usare quelle stesse etichette per le brigantesse è parimenti errato e controproducente, quindi avviciniamoci ad esse con equilibrate letture di testi lasciatici da chi tra di esse passò qualche tempo (William J. C. Moens- Briganti italiani e viaggiatori inglesi– TEA Milano 1997, riportato da Donato D’Urso- Storia di un brigante– L’Artistica Giffoni Valle Piana 1979):

Erano vestite esattamente come gli uomini; i capelli erano corti e la sola peculiarità nel loro modo di vestire era costituita da un indumento che, credo, le donne chiamano corsetto. Non mostravano nessuno di quei caratteri selvaggi e sanguinari che avevo sentito dire appartenere alle donne-briganti; tutte avevano parte nei beni dei rispettivi uomini. Venivano considerate da tutti come le ultime compagne della banda; non prendevano parte alla divisione dei riscatti e spesso venivano picchiate e trattate male dai loro uomini. Due di loro portavano fucili, le altre tre revolvers.

Tutte queste donne avevano aghi, forbici, cotone, sete di varia tonalità, come pure pezzi di stoffa ed erano sempre pronte a fare qualsiasi riparazione fosse necessaria; quando arrivava una nuova scorta di fazzoletti (o maccatori come li chiamavano) si sedevano tutte insieme e lavoravano febbrilmente finché non avevano terminato. Durante un temporale smettevano di lavorare – in forza dei loro sentimenti religiosi – e ad ogni scoppio di tuono si facevano il segno della croce. La domenica era un giorno come gli altri per quanto riguardava il lavoro. Cercavo di spiegare loro che avrebbero dovuto riposarsi, ma sempre senza nessun risultato.

Da questo avvicinamento i primi indizi che esse furono apostrofate anche come donne dei briganti, donne di piacere dei briganti, amanti, concubine, manutengole, ganze, drude, virag(ini)o della malavita macchiaiuola, signore della macchia, regine del bosco, eroine.

Già, per colpa e responsabilità della dea bendata e di tante altre dee strabiche che non distribuirono giustizia, queste donne non ebbero fortuna con nessuna divinità, pur se di alcune condivisero il nome: anche Erinni vennero definite e condivido in pieno, non fosse altro che ogni altro loro nome (Vendicatrici, Furie, Venerabili, Folli, Senza colpe) col quale furono conosciute le dee greche può appropriatamente attribuirsi alle brigantesse, le quali ognuna e tutte insieme furono tali.

Quando, poi, vengano definite emule di Giovanna d’Arco o genitrici delle partigiane o progenitrici delle terroriste, si ha difficoltà ad essere d’accordo innanzitutto per quell’impegno programmatico di non esagerare con le esagerazioni. Le citate figure occuparono la scena storica animate e pervase da ideali universali, si misero alla testa o a rappresentanza di una classe, di un popolo, di una terra, insomma di una fede mentre le brigantesse non sono paragonabili perchè il tirocinio che iniziarono a seguire per diventare “eroine” fu dirottato e le obbligò ad essere, più che donne, femmine e, più che femmine, macchine.

Macchine, non mi sbaglio e ripeto: macchine per la lavorazione a catena nei campi, nelle case, nei talami; macchine create dal Padre e garantite dai padri come perfette, instancabili, stakanoviste facitrici di fatiche e di figli; macchine mai portate dai loro manovratori a revisione per l’usura di qualche pezzo, mai poste a riposo qualche giorno dal lavoro per un controllo meccanico, pardòn, medico o per una ricorrente gravidanza. Come riconoscenza furono sfruttate anche da coloro ai quali si unirono nei boschi per lottare, da coloro dei quali si innamorarono e ricevettero in premio la libertà di concedersi al compagno di vita e di morte, senza rossore nell’amplesso dell’amore che rendeva sostenibile la vita e senza tremore nell’amplesso della morte che rendeva eterno l’amore.

La tematica è ampio e affascinante territorio da percorrere e seguirà nei prossimi articoli, anticipando che traccerò anche brevi autobiografie di alcune brigantesse alle quali rivolgo il mio ricordo, il mio pensiero, soprattutto il mio amore perché in omaggio ad esse non fu mai decretata una “Giornata” anzi ancora oggi con scarso entusiasmo si tributa loro la necessaria e giusta attenzione degli studiosi. Presenterò queste ospiti per quel poco che le conosco, sicuro che a chi cominci a innamorarsene verrà voglia di seguire da solo nelle indagini su di esse e sulle altre e mi riferisco a:

Elisabetta Blasucci la “Pignatara”, Maria Brigida, Luigia Cannalonga, Maria Capitanio, Generosa Cardamone, Rosa Reginalda Cariello “Reginella”, Carolina Casale, Francesca Cerniello, Filomena Cianciarullo, Maria Teresa e Serafina Ciminelli, Mariannina Corfù la “Pacchianotta”, Arcangela Co(u)tugno, Maria Orsola D’Acquisto, Michelina Di Cesare, Maria Maddalena De Lellis la “Padovella”, Maria Lucia Di Nella (Nella, Dinella, Pagano), Rosa Giuliani, Francesca La Gamba la “Capitanessa”, Maria Rosa Marinelli, Giocond(in)a Marino, Marianna (Maria) Oliverio “Ciccilla”, Filomena Pennacchio, Maria Suriani, Maria Giovanna Tito o Maria Giovanna di Ruvo, la “Iena”.

Nel frattempo teniamoci compagnia al canto de

La Ballata delle Brigantesse

Brigantesse,

lasciarono la certezza della miseria antica ma errarono,

non vollero cantare strofe d’amore ma sì inni di guerra,

non pene di amanti ma di uomini seppelliti senza croci,

nè conobbero mariti nè educarono figli nè ebbero casa,

le dissero donne fuorilegge ma eroiche donne del Sud,

condannate dalla vendetta della storia.

Brigantesse,

fuggirono dal peso della violenza eterna ma peccarono,

pellicce non vestirono o sete o gioie ma fucili e coltelli,

non gioirono nei canti, nei balli ma nelle danze di lotta,

si coprirono di stracci, sudore e sangue della sconfitta,

le dissero donne pericolose ma vittime donne del Sud,

calpestate dalla crudeltà della storia.

Brigantesse,

evasero da tuguri del paese per il bosco e vi morirono,

non chiedevano se i carnefici avessero e mogli e figlie,

ma certo esse sarebbero giustiziate da mano straniera,

già, vivevano in piccoli mondi retti dai piccoli destini,

le dissero donne avventate ma superbe donne del Sud,

rinnegate dalla meschinità della storia.

Brigantesse,

soffrirono i bui del brigantaggio e scontarono l’errore,

non furono a cercare grazie e benedizioni nelle chiese,

ma il Dio che con esse soffriva le benedisse nei boschi,

caddero senza sepolture nè benedizioni nè monumenti,

le dissero donne colpevoli ma abnegate donne del Sud,

massacrate dalla faziosità della storia.

Brigantesse,

offrirono il petto agli aguzzini, riscattarono il peccato,

le incatenarono al ludibrio in vita e dissero “puttane”,

al ludibrio in morte lasciandole denudate nelle piazze,

vibrarono loro aneliti in canti di deboli, amanti, liberi,

le dissero donne bandite ma immolate donne del Sud,

disprezzate dalla giustizia della storia.

Brigantesse.

Sprezzanti, delicate, coraggiose, amanti e guerriere,

cantate in poesie che ci vietarono cantare.

Temute, rispettate, combattute, osannate e aborrite,

raccontate in libri che ci vietarono scrivere.

Terrone, passionarie, “sudicie”, eroine, meridionali,

amate in pianti che ci vietarono piangere.

Brigantesse.

Tornano negli anniversari fragile memoria di vetro,

frantumata nella voragine di mille falsità.

Gridano lungo silenzio di morte su silenzi di donne,

cui la “patria” tolse la vita e negò la voce.

Insegnano il riscatto alle donne e alle figlie del Sud,

sperando la nuova Italia senza “briganti”.

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