27 Luglio 2024

“Personaggi, avvenimenti, luoghi del nostro Sud”

rubrica a cura di Vincenzo Ciorciari

C’è chi con le citazioni preferisce chiudere articoli, post, eccetera ma chi preferisce aprirli non credo sia da multare, specie se si mette a raccontare lembi di Storia del Sud e ne usa del tipo della seguente: Lunga e difficile è la via della ricerca, ma alla base di tutto c’è l’amore, come scrisse lo stesso Tiberio dietro la foto di Amalia, sua adorata moglie.

Vincenzo Tiberio (Sepino, Campobasso, 1.5.1869 – Napoli 7.1.1915), figlio del notaio Domenico, quando si iscrisse alla Facoltà di Medicina in Napoli andò ad abitare ad Arzano presso gli zii Graniero, nella cui famiglia conobbe l’amore, “colpevole” la cugina Amalia Teresa che poi diventò sua moglie. Ivi anticipò già dal 1890 la scoperta della penicillina, precisamente nel cortile di quella casa di via Zanardelli 64. Per inciso, Alexander Fleming viene universalmente ritenuto lo scopritore della penicillina quando notò, 1928, che una muffa inibiva la crescita di un batterio, pur dovendosi giungere al 1940 allorchè a Florey ed a Chain, sugli studi di Fleming, fu possibile isolare la penicillina

In quel cortile, dunque, si trovava un pozzo che periodicamente veniva pulito per mantenere potabile l’acqua liberandone le pareti dalle muffe che venivano formandosi, ma ad ogni operazione le persone che bevevano l’acqua soffrivano infezioni intestinali: si stava meglio quando si stava peggio? In questo caso pare proprio di sì.

Si trattava di un fenomeno che destò la curiosità di Vincenzo, questa si volse in ragionamento, poi in deduzione e sarebbe potuto maturare in una straordinaria scoperta conclamata se quell’uomo si fosse trovato in altre terre, come vedremo. Di sicuro ad altro nome si sarebbero da allora dedicate milioni di pubblicazioni scientifiche e si sarebbe assegnato qualche premio Nobel, ma lasciamo la secolare lamentela del destino cinico e baro che, per esempio, analogamente sperimentiamo sul binomio Meucci-Bell e proseguiamo.

In quel pozzo, ricrescendo le muffe con il tempo, l’acqua si ristabilizzava nella sua innocuità, sicchè l’intuito di Vincenzo venne illuminato dalla classica lampadina che, accendendosi su quella prima deduzione, lo portò a concludere come le muffe avessero influenza sulla potabilità dell’acqua e come si trattasse di “antibiosi” (In biologia, inibizione che un organismo esercita sulla crescita di un altro organismo, dal Vocabolario Treccani).Pasteur così definiva, 1877, il fenomeno dell’inibizione che un organismo esercita sullo sviluppo di un altro organismo ma il laureando Tiberio non immaginava che stesse scrivendo la prefazione del volume che avrebbe trattato della scoperta del potere degli antibiotici, il potere della penicillina, eppure fu ad un passo di scriverlo, tutto, quel volume.

A questo punto gli eterni ostacoli che hanno conosciuto riformatori, inventori e mettiamoci pure i “rottamatori”: Vincenzo solo dopo la laurea ebbe il permesso di accedere al laboratorio di igiene

dell’università, diretto dal professore Vincenzo De Giaxa, per potere studiare i campioni della sostanza che raccoglieva nel pozzo ed i poteri battericidi delle muffe, ciò nonostante gli studi, le prove e gli esami fallirono perchè, dall’alto della propria dottrina che non ammetteva nessun “però”, la scienza accademica ufficiale dopo cinque anni mandò al ripostiglio tutte quelle felici intuizioni, quelle promettenti deduzioni, quelle prime conclusioni semplicemente considerate “coincidenze”.

Dopo due anni dall’inizio dei lavori fu pubblicata, 1892, la prima relazione Sugli estratti di alcune muffe, dalla cui trattazione si distacca una verità che autorizza ogni tristezza per qualcosa che poteva essere gloria “made in Italy” a disposizione di tutto il mondo presente e futuro:

Risulta chiaro, da queste osservazioni, che nella sostanza cellulare delle muffe esaminate sono contenuti dei principi solubili in acqua, forniti di azione battericida … per queste proprietà le muffe sarebbero di forte ostacolo alla vita e alla propagazione dei batteri patogeni…assicurava il Tiberio che vide ripubblicata, 1895, la relazione su Annali di Scienze Sperimentali– Roma.

Nemmeno in questa circostanza la sorte si decise accompagnare lo scienziato, insomma fascicolo e relazione in seguito vennero archiviati, producendo pure essi muffe, ma sotto la polvere della disattenzione, del disinteresse e della pochezza di ogni autorità scientifica fino agli anni Quaranta del ‘900, in seguito ai successi ottenuti da Florey e Chain sugli studi di Fleming.

Dal secondo dopoguerra prese corpo la convinzione che Tiberio avesse effettivamente anticipato Fleming e mi sembra che si debba essere grati al tenente colonnello di marina Pezzi per avere ritrovato, 1947, sotto quella coltre di abbandono il fascicolo del 1895 e più grati ancora per essersi impegnato a diffonderne la notizia nella comunità scientifica, finchè fascicolo e relazione furono ristampati, 1955, a cura dell’Istituto di igiene dell’Università di Napoli.

Effimera rivincita per lo scienziato ed effimera tuttora. È vero che si è visto collocare dal Comune di Sepino sulla facciata della sua casa natale, in Piazza Nerazio Prisco, una lapide: Primo nella scienza, postumo nella fama, e da quello di Roma dedicare una via nel quartiere che sorge, guardate un pò, sulla Collina Fleming, ma è altrettanto vero che dispetti, meglio dispettacci, non gli siano mancati nemmeno dopo morto: Ne è prova il fatto che il suo busto commemorativo sia stato tolto dalla torre della piazza e abbandonato in chissà quale magazzino a riempirsi di polvere, scrivono L. Lisella e C. Mottillo – Il Paese – periodico sepinese – 2005/2006, pubblicato su Sepino.net. 2013 – Sito ufficiale della proloco.

Per stranezze o misteri o cos’altro non saprei, Tiberio, passato attraverso l’indifferenza per lui e per i suoi studi, non ha raggiunto tuttavia il posto che gli tocca nell’Olimpo dei benefattori dell’Umanità, eppure si apprende da

Ruggiero Corcella – La penicillina? Una scoperta italiana– Corriere della Sera  del 9.2.2011: Chain, uno dei tre premi Nobel assieme a Fleming – dice Capone (si tratta del dermatologo romano dott. Giulio Capone nipote del Tiberio, ndr.)-, affermò in un’intervista che il suo illustre collega conosceva mio nonno e i suoi lavori. Lui però non lo disse mai apertamente.

Maria Teresa Dimitri – Tiberio, il Meucci della penicillina: la scoperta parte da Arzano – Università Popolare Vincenzo Tiberio: Alla fine dell’800 e all’inizio del ‘900, sottolinea il ricercatore ( Salvatore De Rosa dell’Istituto di chimica biomolecolare (Icb) del Cnr di Pozzuoli, ndr.), Napoli era uno dei centri culturali di maggiore rilievo a livello europeo; e sebbene il lavoro fosse in italiano, questo non ne pregiudicava la conoscenza. All’epoca, infatti i lavori scientifici erano pubblicati, per la maggior parte, nella lingua d’origine degli studiosi su riviste e giornali scientifici per lo più, a carattere nazionale.

Ed ancora Napoli, sempre Napoli, croce e delizia ‘sta Napoli. In questa occasione solo croce e mi fermo qui ma non mancheranno le delizie da raccontare sulla città in particolare, sul Sud in generale e sulla gente della prima e del secondo.

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