14 Novembre 2025

Roberto Bellucci: l’artista all’opera

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Roberto Bellucci l’artista all’opera

di Pasquale Martucci

L’artista Roberto Bellucci ha eseguito, ad Agropoli il 30 ottobre 2025, presso il Cineteatro “Eduardo De Filippo”, un’estemporanea intitolata: “Lumos”. Ha realizzato dal vivo un dipinto la cui tematica riguardava il cinema, la sua storia e l’importanza che riveste nella società: partendo dal Nuovo Cinema Paradiso ha inteso rappresentare “una scatola di sogni perduti”, la nostalgia della “settima arte” che necessariamente definisce un legame tra rappresentazione e spettatori, e che oggi sembra volgere al declino. Eppure, quel cineteatro di Agropoli intende proprio riproporre quell’antico connubio che forse permette a Bellucci di evocarlo attraverso una analoga interazione tra artista e pubblico.

In questo rapporto, l’artista mette si mette a nudo e mostra la sua abilità nel costruire un’idea sotto lo sguardo attento dello spettatore. Sostiene Bellucci che nella realizzazione del lavoro l’occhio rileva poco alla volta particolari e percepisce le combinazioni cromatiche; solo allora le sensazioni si fanno più profonde e complesse. Sono quelle stesse emozioni che affiorano pian piano dentro coloro che lo osservano all’opera e vedono realizzare da un foglio l’inizio del bello artistico, la realizzazione di qualcosa di sconosciuto, se non nella mente di chi opera.

L’arte, dunque, sublima ciò che non è ancora ma che sarà. In questo approccio pare di poter intuire che si parte da una esperienza individuale quando le sensazioni della mente permettono di comporre un’immagine fatta di figure e colori; la stessa ha un percorso evolutivo, l’apice della elaborazione, la stessa psicologia dell’immagine; in seguito, i dipinti producono scorci di sensazioni vissute sia dall’artista sia dalle persone che hanno interagito. Questa operazione permette di far rivivere il tutto in un’opera che diviene collettiva; pian piano, a completamento del lavoro, la realizzazione si distacca dall’autore per investire il fruitore che ne condivide le sue personali emozioni.

Roberto Bellucci ha sempre avuto l’intento di dipingere e giocare con i colori per ricavarne e farne ricavare emozioni. Nel 1978 inizia il suo personale e solitario percorso artistico, una ricerca che non si è mai interrotta fino ad oggi. Nella prima fase dà vita a fantasiose grafiche dandogli il colore, l’intensa dominanza cromatica, una ricerca non ancora conclusa.

Verso la fine degli anni Novanta si concretizza la frammentazione cromatica, una tecnica dove il colore ad olio viene lavorato per sottrazione ottenendo singolari e unici effetti di una luminosità, provenienti direttamente dalla tela che produce l’idea di generare da lì la luce.

A partire dal duemila, l’artista utilizza la comunicazione per affrontare temi di attualità, di politica, di filosofia: la sua è una ricerca intellettuale che spiega anche il senso delle opere e commenta ciò che avrebbe voluto rappresentare, il suo personale punto di vista, uno sguardo sul mondo.

Silvia Landi definisce Bellucci un intellettuale che utilizza la pittura per suscitare emozioni, e proprio per questo ha conquistato uno spazio importante nella storia dell’arte reinventando l’arte con i suoi colori: tecnica e fantasia gli consentono di descrivere ciò che lo circonda.

Maurizio Di Leo parla di un’arte che esprime l’individualità esistenziale attraverso l’utilizzo di colori accesi e vivi, frutto di una ricerca che lui ha compiuto nei territori africani dove ha vissuto. È dunque di matrice autobiografica, dove sole e luce sono da un lato fonte probabilmente del suo colore e dall’altro punto di contatto visibile tra esperienze differenti, che di fatto sono poi rappresentate quando l’artista affronta temi di stretta attualità e posizioni intellettuali ben definite.

Per Celeste Nunziata, Bellucci ha una visione del mondo, perciò è un testimone di “ciò che si è e di ciò che si sa” (Paul Ricoeur). In questa personalità in continua evoluzione, si manifesta la ricerca di nuovi orizzonti, un movimento che si prefigge l’obiettivo di guardare sempre più in là, di non accontentarsi mai. Nunziata entra nello specifico sostenendo che “i dipinti si sviluppano su uno spunto figurativo per poi esplodere in uno sviluppo cromatico: il primo vuole essere una porta di accesso al dipinto; il secondo è un percorso sensoriale, che narra storie e suscita sensazioni soggettive”. Il suo riferimento assoluto è il bianco, quell’unione di ciò che origina il tutto, perché l’artista con i suoi dipinti traccia un processo che intende narrare storie fatte di sensazioni.

Ad Agropoli, il pittore si è presentato al pubblico non solo per esibire l’opera, ma per costruirla: realizzare un continuo scambio emozionale che consente allo spettatore di osservare in silenzio un’arte che diviene, che si manifesta, che assume forma compiuta. Da una traccia iniziale, il colore si afferma prepotente ed investe pensieri, colpisce l’anima, tocca le sensibilità. Certo, c’è bisogno di un animo libero da opprimenti pensieri quotidiani, desideroso di immergersi in un ambito sconosciuto, forse proprio per questo misterioso, nel momento stesso in cui stimola il desiderio di conoscere compiutamente.

Cosa c’è dietro il dipinto? A questa domanda risponde l’arte di Bellucci che si mostra e si manifesta nei meandri più reconditi del labirinto dei pensieri umani.

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