13 Luglio 2025
Il bisogno di giustizia tra istinto e ragione

Il bisogno di giustizia tra istinto e ragione

EGIDIO MARCHETTI

Questa estate, seppure agli inizi, appare già calda e violenta, con episodi di cronaca, apparentemente slegati tra di loro, i quali vengono a delineare i contorni di un territorio che sente forte il richiamo della foresta, tornando a modelli di comportamento apparentemente scomparsi.
La reazione dell’imprenditore di Centola, spinto a difendere la propria casa ricorrendo all’uso delle armi, finendo per uccidere e ferire due malviventi, è qualcosa che covava da tempo sotto le ceneri dell’impotenza e della frustrazione di centinaia di famiglie, da mesi sottoposte alla pressione di una martellante presenza di bande che agiscono in maniera indisturbata.
Un caso di eccesso di legittima difesa per la legge, ma che trova sempre più consensi in larghe fasce della popolazione, provata e sfiduciata dalla mancanza di una concreta repressione da parte delle forze dell’ordine.
La cosa potrebbe avere un effetto di emulazione, soprattutto se pensiamo a quegli ambiti di popolazione dediti all’agricoltura ed alla pastorizia, abituati da sempre all’uso delle armi. Questi non esiterebbero un secondo ad impiegare fucili o asce per difendersi da simili minacce.
Un rischio davvero troppo alto, se lo Stato non riuscirà a fermare quella che appare una deriva inarrestabile.
Fanno riflettere, in un certo senso, le tracce ancora presenti nei casali e nelle antiche residenze di campagna cilentane, dotate di torrini e di feritoie, molto in uso nei secoli passati, quale strumento di difesa dai briganti che infestavano le nostre campagne.
Elementi non solo architettonici, frutto di sedimentazioni secolari dove, in assenza di uno Stato di diritto, la difesa personale era una prassi consolidata.
Un richiamo ancestrale, che si lega fortemente con l’attualità, dove le vittime di soprusi si possono trasformare in un attimo in carnefici.
Il secondo episodio di cronaca ha visto invece due gruppi di lavoratori portuali a Sapri coinvolti in una rissa di violenza inaudita, con feriti e ricoveri.
Nulla di collegato a fenomeni delinquenziali o a bande di stranieri che vivono nella illegalità.
La contesa ha riguardato due imprese storiche del settore nautico, molto conosciute a livello nazionale.
Un’azione che denota ancora una volta la tendenza a farsi giustizia da sé.
Un imbarbarimento delle regole del vivere civile, accentuato dalla mancanza di presìdi di legalità e di controlli adeguati.
Non è difficile immaginare che queste comunità stiano regredendo per un costante abbandono da parte dello Stato, nelle sue varie componenti.
Si chiudono caserme, tribunali, scuole ed ospedali.
Si riducono le piante organiche delle forze di polizia.
Un territorio sempre più trascurato dalle istituzioni, che vive una vera e propria sindrome dell’abbandono.
La percezione negativa che la legge e le regole funzionino solo per gli onesti, ma non per i malfattori.
Nasce proprio da queste carenze la sfiducia nello Stato e la furia vendicativa di certi episodi.
Fenomeni che non sorgono spontaneamente, ma sono coltivati e concimati, non tanto dall’assenza di regole, ma dalla mancanza di controlli capillari nel corpo esteso di un Cilento dimenticato dalle istituzioni.
Occorre che lo Stato dia delle risposte forti e risolutive, restituendo fiducia nelle istituzioni ed un senso di sicurezza e di protezione, scongiurando un processo di arretramento e di imbarbarimento che rischia di diventare irreversibile, seppure in presenza di una democrazia e delle leggi che ne sono i pilastri fondativi.
Non vi è alternativa praticabile, perchè dare libero sfogo alla legittima difesa, alla giustizia personale non rappresenta mai una soluzione ad un problema di ordine pubblico.
I torrini, le feritoie con il corredo di fucili e di pistole appartengono ad un mondo antico che fortunatamente ha ceduto il passo al progresso ed al primato della legge, riservando allo Stato il monopolio dell’uso della forza.
Chi sostiene il contrario, probabilmente subisce l’influenza dell’istinto di sopravvivenza che prevale sulla ragione, come forma di difesa estrema.
Una reazione negativa ad una comprensibile sete di giustizia.

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