Sguardi sociologici 10 / La ricerca qualitativa nel Cilento


di Pasquale Martucci
Negli ultimi trent’anni ho realizzato una serie di ricerche sociologiche nel territorio cilentano, applicando metodi qualitativi e riferendomi alle modalità in cui un’area possa essere studiata attraverso il lavoro di un ricercatore quale soggetto attivo nella relazione che pone in essere e nei continui interscambi umani.

Sono partito dall’assunto che il Cilento ancora oggi non può prescindere dagli elementi che hanno caratterizzato la cultura contadina, in quanto si tratta di una terra che presenta valori e modi comportamentali riconducibili alle tradizioni del passato, che andrebbero, pur considerando le inevitabili evoluzioni sociali, tutelate e valorizzate perché facenti parte di un ricco patrimonio storico-culturale.
Le ricerche svolte si sono soffermate sugli aspetti della vita materiale della popolazione, prestando attenzione alle comunità che si fondano sul senso di appartenenza alla cultura popolare e sono costituite da gente che ha lavorato e vissuto cercando e rinsaldando i legami familiari, parentali e amicali, condividendo spazi e luoghi nel rispetto di valori condivisi.
Questo territorio si è sviluppato grazie al continuo integrarsi di popolazioni che hanno abitato i paesi, consolidando nel tempo una specifica identità riconducibile alla memoria storica e alle tradizioni soprattutto religiose.
Gli studi iniziali hanno riguardato le comunità e le forme di vita quotidiane, ritenendo utile introdurre il termine cilentanità, che ha trovato riscontro nella “cultura materiale” e “immateriale”, concetto quest’ultimo oggi attuale in quanto rientra nel “Patrimonio Culturale” di un territorio.
Il metodo utilizzato nei miei studi è certamente legato all’approccio alla ricerca qualitativa di Franco Ferrarotti. Procedendo in tal senso, e coinvolgendo le scienze umanistiche: storia, diritto, filosofia, sociologia, antropologia, la questione è legata alla definizione dell’oggetto di studio, che nel caso della sociologia è la persona. Il ricercatore non è estraneo, ma è lui stesso un ricercato, ed allora è necessario fare co-ricerca, considerando che l’individuo è dotato di imprevedibilità: “non è causato in maniera deterministica, non è neanche del tutto libero ma condizionato dagli eventi”. (F. Ferrarotti, Storie e storie di vita, Laterza, 1981. I lavori di Ferrarotti oggi sono contenuti nei volumi: Opere. Scritti teorici, voll. 1 e 2, Marietti1820, 2019; F. Ferrarotti, Opere. Ricerche, voll. 1 e 2, Marietti1820, 2020; F. Ferrarotti, Opere. Scritti autobiografici, voll. 1 e 2, Marietti1820, 2020)
Nel metodo della ricerca il punto di vista è decisivo per la selezione degli strumenti concettuali da impiegare, considerando che i problemi che riguardano gli individui sono sempre nuovi e diversamente configurati, e rendono fluido e senza soluzione di continuità l’ambito cui attribuire senso. Oltre ad “osservare” e “ascoltare”, il ricercatore si immerge nel contesto sociale, vive con e come le persone che studia, ne condivide la quotidianità, le interroga per scoprire le loro concezioni del mondo e le loro motivazioni all’agire. Ciò gli consente di sviluppare una visione “dal di dentro”, che è la base della comprensione. (G. Serni, M. Bolzoni, L’osservazione partecipante. Una guida pratica, Il Mulino, 2022)
Sosteneva Max Weber che chi studia e osserva è dotato della capacità e della volontà di assumere una posizione nei confronti del mondo e di attribuirgli senso, facendo sempre riferimento al proprio bagaglio di conoscenza. Questo non significa che l’analisi delle scienze della cultura possa dare luogo solo a risultati soggettivi, poiché l’oggetto di indagine è determinato dalle idee di valore che dominano il ricercatore e la sua epoca. (M. Weber, Il metodo delle scienze storico-sociali, Einaudi, 2003, or. 1922)
Franco Ferrarotti ha inteso lo studio della realtà in cui l’uomo agisce, una società che privilegia i valori umani, perché qualunque azione se non ha uno scopo non ha alcun valore. La sua modalità è affidata ad una scienza ibrida (la sociologia) che ha il primato di osservare e cogliere “il reciproco condizionamento dei vari aspetti del sociale”. (F. Ferrarotti, Lettera a un giovane sociologo, Edizioni Bibliotheka, 2024)
Lo sguardo sociologico, partendo dalla memoria storica, si indirizza alle trasformazioni e alle dinamiche evolutive, attraverso un metodo qualitativo che integra quello dei dati quantitativi.
Queste asserzioni sono state approfondite, presentando riscontri emersi dalla ricerca sul campo, utilizzando metodi e tecniche quali interviste, analisi di storie di vita, studio di documenti e comparazioni tra discipline. Per fare ciò è stato necessario coniugare teoria e pratica, ponendo la ricerca sociologica come analisi orientata, in cui gli strumenti conoscitivi, penso essenzialmente al metodo storico-comparato, si sono integrati ai concetti operativi, alle tecniche e alle modalità della ricerca per dare un senso alla conoscenza del territorio.
Il metodo di indagine qualitativo utilizzato è stato importante per realizzare almeno tre condizioni: a) la conversazione in contesti quotidiani; b) la trasmissione di conoscenze in comunità; c) la comunicazione di emozioni nelle pratiche discorsive.
In questi casi, c’è stata l’interazione tra osservatore, osservato e situazione, per spiegare le circostanze in base alle quali un dato fenomeno accade. A monte va posta la componente descrittiva, da intendere come premessa “all’obiettivo della conoscenza scientifica”, all’“interpretazione del sociale”, al passaggio dalla “spiegazione” alla “comprensione. Il percorso della ricerca sociologica prevede un continuo scambio interattivo tra soggetto ed oggetto della “ricerca-azione”. (Cfr.: C. Cipolla, A. De Lillo, a cura di, Il sociologo e le sirene. La sfida dei metodi qualitativi, FrancoAngeli, Milano 1996; C. Cipolla, a cura di, Il ciclo metodologico della ricerca sociale, Franco Angeli, Milano 1998)
Spesso si parla della non rilevanza dei metodi qualitativi in quanto di impianto soggettivo. Produco alcuni rilievi per considerare che il rigore della ricerca se segue alcuni criteri può certamente essere ritenuta valida. Essi sono: a) plausibilità (pretesa della verità); b) credibilità (caratteristiche del fenomeno e capacità del ricercatore); c) evidenza (mettere alla prova assunti non ancora conosciuti, possibili e credibili); rilevanza (importanza scientifica della ricerca).
In sociologia, la ricerca qualitativa, che ha origine nella “sociologia comprendente” di Weber, si impone a partire dalla fine degli anni sessanta del novecento negli Stati Uniti.
In precedenza, i metodi qualitativi trovano riscontro in antropologia, con gli studi etnografici ed il lavoro sul campo di Malinowsky, Boas, Radcliffe-Brown e Evans-Prichard, e si sviluppano in seguito in sociologia con la Scuola di Chicago e gli studi di comunità di Park, fino alla fine degli anni trenta del novecento.
La tendenza verso la “qualità” si sviluppa quando si affermano due essenziali approcci teorici: la “fenomenologia” da un lato e l’“ermeneutica” dall’altro. Quest’ultima trova un consistente sviluppo nell’ambito dell’interpretazione di testi e documenti.
È solo però con l’etnometodologia e Garfinkel che la ricerca sul campo si porrà il “problema interpretativo” dei “fatti” o “eventi sociali”. Gli etnometodologi hanno considerato importante il problema dell’ordine e posto in essere le regole di base che disciplinano i rapporti quotidiani tra le persone sempre entro un certo contesto. Infatti, la spiegazione scientifica è comprensibile come anche quella della vita quotidiana solo in riferimento ad una situazione specifica, al contesto. (P. P. Giglioli e A. Dal Lago, Etnometodologia, Ed. Il Mulino, Bologna 1983, p. 55).
In seguito, la “svolta interpretativa” di Geertz consente alla ricerca qualitativa un importante passo verso la legittimazione scientifica. Con l’interpretazione ed il dialogo si svincola la ricerca da statistiche, rigidi quadri concettuali e sintesi teoriche stabili, in quanto l’interpretazione dell’interpretazione consente di organizzare le società e le stesse modalità interpretative, se “complesse e virtualmente interminabili”. Il metodo della descrizione complessa e al tempo stesso stratificata pone in essere una molteplicità di strutture concettuali, molte delle quali “intrecciate” o “sovrapposte”, che il ricercatore deve “prima cogliere e poi rendere”. (C. Geertz, Interpretazione di culture, Ed. Il Mulino, Bologna 1998, Ia ed. 1988, pp. 22-30)
La teorizzazione di Geertz pone il ricercatore al centro di un approccio problematico che, sul campo con la tecnica dell’osservazione partecipante, può dar luogo ad un processo interpretativo degli eventi sociali.
Ferrarotti, che si è molto soffermato sulle “storie di vita”, intese come ricostruzioni concettuali rigorose, attraverso il collegamento tra “testo e contesto”, tra narrazione e “orizzonte storico problematico”, ha sostenuto che per operare occorre:
a) saper ascoltare;
b) saper innalzare la ricerca al di là del mero resoconto sociografico-inventariale o del rapporto di polizia;
c) puntare alla “interazione” tra ricercatori e oggetti della ricerca attraverso una “relazione significativa”. (F. Ferrarotti, L’ultima lezione. Critica della sociologia contemporanea, Ed. Laterza, Roma-Bari 1999, pp. 92-93)
Per esplicitare meglio, occorre un approccio critico e una ricerca che si presta alla attenta formulazione del problema e delle ipotesi di lavoro; poi rivolgere l’attenzione ai fatti storici e ai documenti e allo stesso riconoscimento della difficoltà dell’impresa del ricercatore. C’è il problema dell’osservazione: dati, verifica delle ipotesi, osservazione, comprensione, partecipazione. Tra le tecniche: l’intervista e l’inchiesta (con la definizione dei compiti da svolgere e della tipologia dello strumento utilizzato), partendo dal presupposto che la cultura/contesto è da intendere come modello descrittivo.
Ferrarotti si occupò molto delle storie di vita che entrano nello specifico della metodologia qualitativa:
1) come tecnica dell’ascolto che si occupa del comportamento umano nel tempo (concetto di storicità), in cui la storia è memoria collettiva;
2) come interesse alla quotidianità e la pratica di vita;
3) come attenzione alla biografia come metodo (dall’autobiografia individuale a quella di gruppo);
4) come dialettica relazionale e il campo delle mediazioni sociali;
5) con interesse alle fasi interattive, dalle biografie di gruppo allo sviluppo della soggettività;
6) prestando attenzione alla specificità del metodo biografico e al problema della “co-ricerca”. (F. Ferrarotti, Opere. Ricerche, voll. 1 e 2)
Gli oggetti dell’osservazione sono il contesto fisico, la descrizione della conformazione strutturale degli spazi nei quali si sviluppa l’azione sociale; il contesto sociale, la descrizione dell’ambiente umano come, ad esempio, le persone che frequentano un quartiere, il loro modo di vestire, le finalità dei loro spostamenti, e così via; le interazioni formali, le interazioni che avvengono tra individui all’interno delle istituzioni e delle organizzazioni nelle quali i ruoli sono prestabiliti e le relazioni sono regolamentate da vincoli prefissati; le interpretazioni degli attori sociali, l’interpretazione da parte del ricercatore delle interazioni verbali tra i soggetti del gruppo sotto forma di colloquio informale o di intervista informale; le interazioni informali, tra individui all’interno del gruppo dove i ruoli non sono prestabiliti e le relazioni non sono regolamentate da vincoli prefissati. (G. Serni, M. Bolzoni, L’osservazione partecipante, cit.)
Il mio lavoro nel Cilento ha utilizzato strumenti metodologici, quali l’intervista e l’indagine sul campo, in aree in cui i valori del passato e la vita comunitaria sono ancora presenti in maniera rilevante. La ricerca qualitativa utilizzata è stata la “ricerca-azione” che ha posto al centro il soggetto e la “ricerca coinvolta”, che ha inteso produrre un continuo interscambio rispetto all’oggetto osservato (in questo caso le persone e i contesti in cui svolgono l’azione).
In conclusione di questa prima parte cito alcuni lavori, che saranno nel prossimo scritto definiti nei contenuti, in cui ho applicato questi metodi allo studio della cultura popolare cilentana: P. Martucci, A. Di Rienzo, Identità cilentana e cultura popolare, Ed. CI.RI., Fornelli C.to (SA) 1997; P. Martucci, Identità e cilentanità. I metodi qualitativi applicati allo studio della cultura popolare. Il personaggio Giancristo, in “Annali Cilentani”, a. VII, n. 2, luglio-dicembre 2001, pp. 79-108; P. Martucci, A. Di Rienzo, Comunità e identità. Zié Grazia e zié Pasqualina a Castelcivita, in “Il Postiglione”, a. XIV, n. 15, giugno 2002, pp. 253-292; P. Martucci, Le comunità cilentane del Novecento, Ed. Arci Postiglione, Salerno 2005; P. Martucci, La vita quotidiana e il senso della cultura popolare cilentana, in “Annali Storici di Principato Citra”, a. V, n. 2, luglio-dicembre 2007, pp. 151-179; P. Martucci, Cilentanità, Ed. Arci Postiglione, Salerno 2008.