13 Giugno 2025
Il Genius loci tra identità e appartenenza

di Pasquale Martucci

L’identità è legata al Genius loci di una comunità, al suo senso di appartenenza, in cui i termini/concetti sono legami stretti e spesso indissolubili.

Parto dall’assunto che l’identità cui mi riferisco è collettiva e viene resa esplicita in un determinato contesto attraverso l’azione dell’uomo, che interagisce con gli altri suoi simili e con l’ambiente esterno per creare le migliori condizioni per poter vivere. L’attenzione è alle dinamiche locali nella dimensione di quella definita da Christian Norberg-Schulz: Genius loci (Genius loci. Paesaggio ambiente architettura, Electa, 1986, or. 1980), in cui è posta la questione di come il territorio si possa trasformare in “luogo”, ovvero quel centro di vita, un sito con una precisa identità, sempre riconoscibile, con caratteri che possono essere “eterni o mutevoli”.

Su queste tematiche nel 2023 ho pubblicato per Susil Edizioni il volume: “Del Cilento e del suo Genius Loci, in cui sostenevo la centralità del rapporto uomo/territorio dove si manifestava l’immaginario sociale, le espressioni tradizionali e legate alla cultura popolare di un territorio ricco anche di silenzi, colori, odori, suoni, oltre che di una cultura millenaria. Importanti sono le costruzioni sociali, che hanno determinato il legame con il loci, succedute nelle epoche storiche lasciando il segno: le opere materiali e immateriali, gli individui che operando e agendo hanno creato una comune appartenenza.

Il termine appartenenza in questa accezione è definibile sulla base di criteri sociali, culturali, giuridici, territoriali. In tal senso, è utilizzato per indicare una condizione di inclusione di un individuo in una collettività e il suo riconoscimento in quanto membro di essa. La seconda questione, strettamente connessa alla prima, esprime il sentimento identitario che è la manifestazione di un’adesione di natura culturale, ideologica, affettiva ai contenuti distintivi e fondanti di una collettività.

All’appartenenza si ricorre per indicare specifiche modalità di relazione sociale, alludendo a forme di scambio, cooperazione, protezione che si stabiliscono tra gli individui; questi ultimi si attribuiscono reciprocamente un legame, un fine, un interesse comune, una stessa fede, una comune origine familiare, sociale, culturale. (L. Struffi, G. Pollini, voce Appartenenza, in F. De Marchi, A. Ellena, B. Cattarinussi, “Nuovo dizionario di sociologia”, Edizioni San Paolo, Milano 1987)

Parlare di appartenenza significa proprio riferirsi a quel processo di identificazione dei singoli con la collettività di cui fanno parte. Entra in gioco l’identità, intesa come risorsa indispensabile per consentire all’uomo di orientarsi mentre sviluppa la sua azione nella società, definita dai codici simbolico-culturali che gli appartengono. Per fare ciò occorre un’azione di regolamentazione sociale, basata sulla legittimazione di specifiche combinazioni di valori, norme e sanzioni/ricompense, che servono a rinsaldare l’identità collettiva. Quest’ultima necessita delle costruzioni ed espressioni simboliche per favorire i processi di reciproco riconoscimento e di identificazione con una entità sovra individuale.

Alla costruzione dell’identità collettiva contribuiscono “forme simbolico-espressive differenti”, riconducibili a due essenziali classificazioni: il nome/emblema; il rituale.

La prima rappresenta le forme più elementari. Assegnare un nome e assumere un emblema significa attivare un processo di riconoscimento e distinzione: la sua funzione fu individuata molto bene da Durkheim che parlò della costituzione e del mantenimento dell’unità clanica simboleggiata dal totem.

Con lo sviluppo del linguaggio e dei media si avverte oggi una evoluzione dei sistemi sociali che intensificano il simbolico ed attribuiscono importanza ai gesti e alle parole: una bandiera, un indumento, una croce, un nome o uno slogan, il gesto di un pugno alzato possono agire con la stessa efficacia dell’emblema clanico nel richiamare un sentimento di appartenenza o nell’esprimere un’identità collettiva.

L’identità è ancora più efficace se si rapporta ai rituali, ossia alle sequenze intersoggettivamente significative e socialmente codificate di espressioni che riguardano sia l’ordine simbolico che quello semantico.

Se il simbolo agisce come segno evocativo, il rituale implica un’esperienza evocativa, una sorta di attraversamento simbolicamente connotato.

Il potere evocativo del simbolo consiste nel fatto che esso rinvia ad una determinata realtà, ovvero la indica senza descriverla; il potere evocativo del rituale discende invece dal fatto che esso si compie.

I rituali presentano alcuni caratteri comuni ricorrenti, tra cui in particolare: la solennità; la sacralità; la capacità di suscitare reazioni emotive. Sono caratteri che confermano il ruolo dei rituali nei processi di costruzione dell’identità collettiva e nella determinazione del sentimento di appartenenza. (C. De Rose, Appartenenza e Identità. Fondamenti, processi, rituali, OU. Riflessioni e Provocazioni, Edizioni Scientifiche Italiane, 2003, pp. 11-28)

I rituali fanno parte delle manifestazioni della vita quotidiana che attivano processi di socializzazione e sviluppano le relazioni sociali, incidendo sul sistema culturale e normativo.

Il sentimento di appartenenza è l’espressione di un fondamentale bisogno di ciascun individuo di sentirsi pienamente membro della collettività, un bisogno di riconoscimento, di assegnazione di un ruolo cui sono associate delle aspettative. Per Jedlowski, se l’uomo condivide il senso comune di una collettività, è già, almeno potenzialmente, membro di quella collettività. Egli lo diventa pienamente allorché tale adesione è a sua volta riconosciuta e legittimata dalla collettività medesima. (P. Jedlowski, Storie comuni. La narrazione nella vita quotidiana, Mesogea, 2022)

Le manifestazioni dell’appartenenza che assumono particolare rilievo ai fini del riconoscimento dello status di membro sono riconducibili a tre orientamenti dell’agire sociale: conformità, lealtà, impegno.

Oltre a lealtà e impegno, per definire l’appartenenza c’è soprattutto bisogno del concetto di conformità: precetti, valori, principi, modelli di comportamento, norme e obblighi, ma anche tradizioni, costumi, modalità relazionali.

Parsons postulava la coincidenza tra appartenenza e conformità sociale. Se l’appartenenza è di per sé attestata dall’atteggiamento di conformità assunto dagli attori sociali, è importante il conseguente obbligo di solidarietà che essi fanno proprio quando accettano di stare nei ruoli istituzionalizzati dalla collettività e di impegnarsi a soddisfare le aspettative associate a tali ruoli. (T. Parsons, Il sistema sociale, Ed. Comunità, 1965)

Alla base di un processo sociale è necessario un processo di autodefinizione e di eterodefinizione: il senso di appartenenza permette al gruppo di erigere un muro, definire un confine simbolico che ha il compito di separarli e distinguerli da chi è all’esterno del gruppo. Paradossalmente però, sostiene Charles Taylor, è proprio l’esistenza degli altri ciò che consente al gruppo di rimanere coeso e di conservare le proprie caratteristiche distintive. Si tratta di un processo di costruzione sociale delle differenze: i concetti di razza o di gruppo etnico sono costruiti socialmente.

L’identità è espressione di stabilità, è il parametro a cui non si può rinunciare se non si vuole essere emarginati ovvero considerati diversi, esterni al gruppo tanto che l’estremizzazione del senso di appartenenza, che poi degenera a volte nel razzismo, è dovuta proprio alla paura di perdere i propri punti di riferimento. Succede anzi che l’origine culturale dell’identità, generando un orizzonte di precarietà e instabilità, sia proprio ciò che fa nascere il bisogno e il sentimento di appartenere ad un gruppo, e di essere accettato da quel gruppo. Ma appartenere non è una definizione immobile, perché lo stesso cambiamento sociale determina il mutamento del gruppo di appartenenza. (L. Boccacin, Le forme sociali dell’appartenenza, Studi di Sociologia, Vita e Pensiero – Università Cattolica del Sacro Cuore, A. 36, Fasc. 3, 1998, pp. 291-303)

Per concludere, mettendo in connessione appartenenza e identità si rafforza l’idea di un Genius loci, dove interviene il complesso di rapporti abitudini, riti, credenze, che determinano uno stretto rapporto non solo economico, sociale, ma anche affettivo: è il senso della territorialità che costituisce ed esprime l’appropriazione fisica, economica, giuridica di un ambiente geografico.

Gli individui, per superare la solitudine e l’isolamento, stati d’animo manifestati dal crescente bisogno di compensare gli aspetti impersonali e minaccianti della vita moderna, vogliono trovare, anche inconsciamente, una identificazione reciproca con gli altri, coltivando rapporti significativi in contesti che permettano di sperimentare il vissuto del senso di comunità. Questo senso serve ad arrestare la perdita, l’alienazione, il disimpegno, la frammentazione, la dispersione dei valori, dei comportamenti, dei legami: è una partecipazione emotiva che influenza la vita degli individui e al tempo stesso ne è influenzata.

Considerando il Genius loci, la comunità locale ha la possibilità di recuperare la propria autentica funzione di promozione e aggregazione di individui e territorio, attraverso le manifestazioni e le forme espressive di una realtà presente ma non sempre palpabile, che potrebbe essere opportunamente definita “immateriale”, quasi un’entità a sé stante, che tuttavia non interferisce con il vissuto sociale anzi lo potenzia.

Occorre considerare l’insieme della vita della collettività, ovvero avere la visione del bene culturale, che corrisponde ad un bisogno, appartenenza, appropriazione di un luogo, che ponga al centro la territorialità della cultura e attivi uno spazio/tempo per affermare la presenza dell’uomo in armonia con l’ambiente e il territorio.

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