Versetti ironici: Filippo Capobianco è Poetry Slam nei bar del pianeta terra
di Giovanni Farzati
La poesia deve uscire in strada; nei bar, nelle piazze; in mezzo alla gente; questo è slam; poetry slam; l’idea nacque negli anni 80; in questi anni sta avendo grande diffusione in Italia; con un campionato e 500 eventi all’anno.
Le regole sono tre: si posono usare solo il corpo e la voce, i testi devono essere tuoi e hai al massimo tre minuti; una giuria composta da cinque spettatori determina poi il risultato.
L’omaggio del Giorno; quotidiano di Milano a Filippo Capobianco, campione mondiale di Poetry Slam; sfide tra poeti nei più strambi bar del mondo.
Filippo Capobianco; Pavia; ha avuto anche un meritato riconoscimento al FringeMI, rassegna che porta il teatro dove non c’è il teatro; titolo dell’opera “Mia mamma! fa il notaio ma anche il risotto; titolo che si ricorda facilmente.
Con la poetry slam le capita di affrontare l’improvvisazione? Filippo Capobianco. “Su questo c’è spesso confusione. Ci sono colleghi che nelle serate indagano il free style. Ma di base le sfide sono su testi scritti. È un aspetto che invece ho ritrovato molto più nella formazione teatrale”; Quando ha iniziato con la poesia? “Mentre studiavo fisica, cercando parallelamente di proseguire con il teatro. Un giorno ho scoperto che un locale dietro casa organizzava serate di slam, a cui poteva partecipare chiunque, era sufficiente scrivere qualcosa e lanciarsi. Andò bene e da quel momento ho lavorato sulla scrittura, allontanandomi piano piano dagli aspetti più funzionali, performativi”.