3 Dicembre 2024

Riflessioni sul libro di Gad Lerner: “Gaza. Odio e amore per Israele”, Feltrinelli, maggio 2024, un approccio critico alle aberrazioni di una guerra

di Pasquale Martucci

Non nascondo di avere ritrosia ad occuparmi di Gaza, per l’infinito susseguirsi di violenze e risposte con violenze alle violenze, con le ragioni che diventavano torti, e così da ambo le parti. Da tempo si sono formate fazioni estreme, che hanno coinvolto persone di tutto il mondo nel trovare motivi validi per patteggiare in favore di israeliani o palestinesi.

Credo che proprio il voler stare da una parte e credere nella liceità delle azioni cruente compiute, legittimando ogni violenza, per ciò che mi riguarda non ha molto senso. I morti si sono sovrapposti ad altri morti, in una sorta di perseguimento di vendette e crudeltà che molti hanno inteso come un comportamento da condividere, che significa l’annientamento, il non riconoscimento dell’altro, del diverso da sé. E le tifoserie hanno fatto considerazioni sconsiderate, azioni di legittimazione della parte più vicina, per appartenenza ideologica e vicinanza di interessi.

Tutte queste considerazioni non credo possano consentire di elaborare un approccio lineare, dal momento che le radici storiche di uno scontro si trascinano senza trovare soluzioni condivise da almeno una cinquantina d’anni, non volendo valutare tempi ancora più remoti.

A mettere ordine a molte questioni giunge il libro su Gaza di Gad Lerner. Sono riportate le tesi di un giornalista, un uomo che difende Israele ma ne parla anche male, considerato da tutti l’ebreo buono (anche se egli stesso non ama questa definizione). I suoi dubbi sono chiaramente espressi e riguardano: “decidere quale posizione assumere”, “schierarsi per vincolo di appartenenza”, “tacere per non essere accusato di tradimento”.

Lerner è molto netto: quale solidarietà si può esprimere ad un uomo come Netanyahu che trascina tutto nel precipizio? Ma ha avvertito un grande dolore quando ha visto esultare i palestinesi dei territori occupati dopo l’assalto del 7 ottobre 2023.

Dopo quel drammatico evento, la prima cosa che fa è rinnovare l’abbonamento ad “Haaretz”, il giornale malvisto dai governanti israeliani ma considerato indipendente e autorevole. Per quel giornale, Netanyahu è colpevole di aver dato vita ad un governo di annessione ed esproprio, perseguendo una politica che “ignorava l’esistenza e i diritti dei palestinesi”.

Ecco da dove si può partire se si vuole valutare ciò che sta accadendo in quel territorio ormai distrutto e disumanizzato.

Gad Lerner ama Israele ma auspica anche la soluzione del riconoscimento ai palestinesi di un proprio Stato. Ha parenti che vivono tra gli israeliani e si definisce “sionista critico”, soprattutto per le scelte della destra israeliana che con cinismo e spregiudicatezza ha imposto una politica reazionaria e fondamentalista. La critica però che molti gli fanno è che il colonialismo e una logica militare, che certamente ha portato ad un’oppressione permanente dei palestinesi ma è stata attuata anche dal fronte ebraico più progressista. Dunque, si tratterebbe di una questione molto più profonda, ideologica, religiosa e profondamente radicata.

I fatti di cui si discute oggi parlano di un inizio: il 7 ottobre con il massacro che non si vedeva dai tempi della Shoah. Si tratta però di una storia di ingiustizie che dura almeno dalla guerra dei sei giorni del 1967, quando Israele occupò vasti territori abitati dai palestinesi; si insediarono ebrei venuti dall’estero che diedero un significato religioso alla conquista che intendeva instaurare l’antico regno di Israele. Da quella contesa, dice il giornalista, è nato il fanatismo da entrambe le parti.

La posizione di Lerner è molto politica, perché le radicalizzazioni non hanno permesso di trovare soluzioni di mediazione o ricerca di una convivenza tra due popoli: è la critica al governo Netanyahu che ha scatenato una sanguinosa offensiva militare con il risultato di screditare la reputazione di Israele ed isolarlo come mai prima d’ora. Gaza è diventata il simbolo di una contesa che diventa culturale e morale ed investe tutte le posizioni del mondo. Emerge il fanatismo identitario che ha contagiato tutti. La destra sionista ha prodotto spaccature nella società israeliana, ha permesso il rinchiudersi in se stesse le Comunità ebraiche della diaspora, che si sentono incomprese e lanciano accuse di antisemitismo a chi solidarizza con i palestinesi.

Nelle proteste dei campus universitari ci sono due posizioni nette anche da parte degli ebrei: coloro che vogliono mantenere uno spirito critico (il giornalista tra questi) e gli altri che vogliono difendersi con la superiorità militare da una tragedia avvenuta ottanta anni fa con lo sterminio degli ebrei. Poi ci sono coloro che condannano le azioni violente e stanno dalla parte dei palestinesi.

Questa guerra ha assunto dunque una dimensione mondiale; muove sentimenti forti e un “impulso a schierarsi”. Molti hanno attribuito ai giovani che protestano l’etichetta di antisemiti, e ciò, concordando con Lerner, “banalizza la nostra doverosa memoria della Shoah, una dimensione di massacro che non è più stata raggiunta e concepita”. Quel dramma non può essere l’alibi con cui si giustificano i crimini di guerra che oggi Israele compie a Gaza. Ed infatti, ciò che non si riesce a comprendere sono le drammatiche conseguenze del presente e del futuro. I massacri dei civili sono inaccettabili e fanno inorridire, al pari dell’azione compiuta da Hamas il 7 ottobre 2023.

Il giornalista condivide la posizione della componente più illuminata ma minoritaria di Israele, tacciata di essere composta da ebrei che odiano se stessi, che è convinta come la scellerata politica delle destre porterà lo Stato a non essere più una certezza nel futuro ordine mondiale. Crede che il modello culturale e sociale si è molto incrinato e si è frantumato in “microsocietà non comunicanti fra loro”, radicando “l’idea che la diaspora sia un residuato storico”, “un’entità minacciosa, da debellare”. Queste forti affermazioni sono elaborate grazie ad esempi tratti da esperienze dirette che lo portano a considerare che gli stessi ebrei, le nuove generazioni dei “nuovi ebrei” che vivono nell’era globale, pensano che questo mito ormai non abbia più senso: hanno la convinzione che il millenario oscillare dell’ebraismo tra radicamento e sradicamento non ha motivo di esistere. Riproponendo il fanatismo e la distorsione della fede religiosa, l’ossessione della difesa dell’identità sia da parte di laici che di credenti, l’etnocentrismo e l’idea della patria ebraica, tutto ciò non fa i conti con l’evolversi della storia e con le mutate condizioni socio-culturali. Ha sempre pensato che l’antisemitismo non si contrasta isolandosi, ma piuttosto “valorizzando la spiritualità ebraica in quanto patrimonio integrato e necessario della nuova Europa, del cui mosaico è parte essenziale”.

Certamente in Israele, dopo il 7 ottobre, riprendendo i libri della Torah, è stato facile scatenare una guerra, un’operazione all’interno della Striscia di Gaza che non si sarebbe conclusa senza l’annientamento di Hamas, mostrando al mondo la propria indubbia superiorità. Ma quell’azione obbligata non ha considerato le conseguenze, non ha pianificato un futuro per gli oltre due milioni di palestinesi ammassati nella Striscia. Molti, sostiene Lerner, vivevano ancora nel mito della guerra lampo risolutiva, eppure non è più come in passato. L’opinione pubblica si è rassegnata all’inevitabilità della guerra, ma “non ha ritrovato fiducia e combattività”, nonostante tanti dell’estrema destra hanno inteso la necessità di ebraicizzare Gaza. Ciò è accaduto trovando in Hamas il nemico perfetto, ma trovando altresì una resistenza mondiale nel considerare la lotta contro gli occupanti israeliani quasi legittima, minimizzando le atrocità commesse. Hamas si è identificata con la sofferenza del popolo palestinese aggredito, pur nell’indifferenza degli altri Paesi arabi, ma con la consapevolezza che occorresse compiere una rivincita contro i soprusi patiti da decenni. Lerner è convinto che Hamas “sia una serpe nata e cresciuta tra i palestinesi, capace di esaltarli mentre li conduce alla rovina”. Essa vincola e subordina la riscossa nazionale a un progetto religioso, santifica la lotta armata come “strumento di allargamento dell’influenza mondiale dell’islam”. Teorizza la scelta del martirio, la virtù del sacrificio, ed invita i giovani ad autodistruggersi in azioni suicide. Non appare una catastrofe quella che si è abbattuta su Gaza ma “una catarsi necessaria, la purificazione che renderà i palestinesi degni di ricevere, quando Dio vorrà, la ricompensa che spetta ai devoti”.

Eppure, sostiene Lerner, Hamas è stata una creatura allevata dalla destra israeliana, il nemico perfetto nel quale rispecchiarsi e con il quale trattare. In passato destra e Hamas si sono tenuti per mano, oggi non è più così. Forse si riteneva che si potesse frantumare il territorio come in Cisgiordania, ma quel fazzoletto di terra di Gaza non si poteva sperare di attraversarlo senza incorrere in rischi mortali. Israele lo sapeva e sapeva anche che era arduo smantellare i chilometri di tunnel costruiti nel sottosuolo ed impossibile compiere incursioni solo aeree. Oggi Hamas cavalca le contraddizioni del mondo contemporaneo ed impongono una “trappola ideologica” che è fanatismo identitario mascherato da fede religiosa. In fondo “l’integralismo di Hamas, così come quello del sionismo religioso, interpretano efficacemente il sentore di apocalisse che incombe sul pianeta malato”.

È una forte critica sia ad Israele che ad Hamas, che con le loro posizioni hanno certamente contribuito a favorire le distanze e a non perseguire politiche di ricerca di soluzioni.

Per quanto riguarda Israele, nei decenni che sono passati si è realizzata la fine del rinascimento ebraico, con le iniziative atte a delimitare i poteri di controllo sulle leggi fondamentali dello Stato, con le limitazioni di fatto della stessa democrazia. Ne sono scaturite iniziative popolari che hanno di fatto diviso il Paese ed hanno portato a coinvolgere i cittadini nelle proteste per più di quaranta settimane di fila. Poi c’è stato il 7 ottobre 2023 e la tendenza a chiudersi in se stessi e ad isolarsi.

Ad ogni modo, e qui la critica di Lerner, anche ai tempi del rinascimento si è elusa la questione palestinese: in Israele si viveva bene e si fingeva che quel problema non esistesse, lo si ignorava. Con la recente aggressione, il Paese si è ricompattato, anche se non manca il dissenso verso l’attuale governo: la destra ha avuto ragione nell’indicare la soluzione brutale e la volontà di allontanare tutti i palestinesi da Gaza. Si è diffuso un meccanismo di autoassoluzione, l’istinto della natura umana che non ritiene che tutti siamo uguali, “attribuendo valore diverso alla morte di chi ci è prossimo rispetto alla morte di chi sentiamo lontano”.

Che fare? Lerner crede che oggi la questione palestinese sia impossibile da rimuovere, e deve essere affrontata. Primo Levi, in “Se questo è un uomo”, affermava: “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte e oscurate: anche le nostre”. Il movimento degli studenti palestinesi mette in correlazione un genocidio accaduto tempo fa con quello in corso, anche se occorre ben distinguere il termine genocidio che si riferisce alla “sistematica distruzione di una popolazione, una stirpe, una razza o una comunità religiosa”. Ad ogni modo, si parla certamente di crimini di guerra per i massacri di civili innocenti.

In altra parte del libro, il giornalista crede che sia Israele che l’Iran siano due anacronismi che si fronteggiano a distanza per una sfida mortale. Si tratta di imprevisti della storia: non sono forse due realtà “destinate dalla loro ambiguità a misurarsi con l’essere provvisorie?”. Gli israeliani hanno cercato di imporre leggi vincolanti per tutti gli ebrei ed azioni che permettessero l’allontanamento dei non ebrei. Il loro percorso di marcia si è indirizzato alla restaurazione vivendo una perenne guerra. Nel caso degli iraniani si è affermata la sottomissione, l’abbandono e la consegna totale a Dio, con la destabilizzazione del mondo islamico e la pratica del terrorismo suicida dei kamikaze. La rivoluzione iraniana è fallita con l’instaurazione di un regime oscurantista e bellicoso, con le donne che pagano il prezzo più alto. Anche in questo caso per non soccombere si confida in uno stato di guerra permanente.

La guerra di Gaza ha radicalizzato le opposte visioni del mondo contemporaneo: Israele paga il rifiuto di cercare la convivenza con il popolo palestinese ed è visto come “guardia armata dell’uomo bianco, ultimo bastione del colonialismo, difensore del privilegio sociale”. Dice Lerner che occorrerebbe esaminare criticamente le storture della società e della politica israeliana per trovare nuovi equilibri internazionali. E tutto ciò mentre Cina e Russia attendono di trarne vantaggi. Poi c’è la destra mondiale che si trova a proprio agio tra divisioni e contrapposizioni, sfruttando interessi privati e relazioni “intense nei settori dell’intelligence, dei sistemi di sicurezza e del campo energetico”, innalzando Israele a paladino della destra mondiale. Netanyahu ha scelto di cavalcare l’onda conservatrice e le lacerazioni interne alle democrazie liberali.

Nell’ultima parte del volume, Gad Lerner si sente stretto nella definizione di ebreo buono che riconosce le malefatte dei suoi fratelli israeliani, anche se è comunque considerato un rinnegato da parte degli ebrei. Vuole muoversi attraverso un pensiero critico che non si lascia imprigionare dalla reticenza per trovare la tolleranza: più che cercare la santità tra gli uomini (ebraismo), occorre perseguire la strada che contraddistingue la figura del giusto (zaddiq).

Il libro di Gad Lerner è bello e appassionante, fornisce molte informazioni storiche e ribadisce la necessità di una soluzione al drammatico conflitto. La sua idea è di esaminare tutte le proposte da tempo sul tavolo, due Stati che potrebbero essere federali e democratici attraverso un processo di riconoscimento e riconciliazione. È frutto di un impulso che gli ha permesso di affrontare i fatti non senza dedicarsi alle analisi storiche, anche se non aveva alcuna intenzione di scriverlo. Ha fatto fatica, ma credo che sia valsa la pena conoscere l’idea di un ebreo che sta nel mezzo e persegue ciò che è giusto anche con toni aspri e giudizi forti.

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